Ecco la lista degli ingredienti per realizzare una crema addolcente e idratante:
1 tazza di olio di mandorle
1 tazza di acqua
2 cucchiai di cera d’api vergine grattugiata
30 gocce di un olio essenziale a vostra scelta (dalla lavanda al bergamotto, scegliete la profumazione che vi piace di più e che più si addice al vostro stile e alla vostra personalità).
Per quanto riguarda gli strumenti, sono necessari un frullatore (possibilmente vecchio), un pentolino, una ciotola di medie dimensioni, una spatola e delle bottigliette di vetro munite di tappo, per conservare la vostra crema una volta ultimata la preparazione.
Procedimento
Sciogliete la cera a bagnomaria, quindi incorporate l’olio di mandorle, mescolate e lasciate raffreddare per un paio di minuti (non di più, altrimenti la cera comincerà ad indurire e sarà impossibile lavorarla ulteriormente).
Versate l’acqua nel frullatore e azionatelo. Quindi fate passare a poco a poco il vostro composto di cera e olio di mandorle dall’apposita apertura al centro del coperchio del frullatore, in modo che si misceli con l’acqua. Una volta versato tutto il composto, aggiungete anche l’olio essenziale e frullatelo con il resto. A questo punto la vostra crema è pronta: basta versarla nelle boccette di vetro e potrete conservarla per circa sei mesi. Evitate comunque di esporla a temperature troppo alte: nel periodo estivo potete anche scegliere di riporla in frigorifero, in modo che, oltre che addolcente e idratante, sia anche piacevolmente rinfrescante!
Infine, usate la spatola (e un po’ di pazienza…) per rimuovere i residui di cera dal vostro frullatore.
Con gli stessi ingredienti (cera d’api, olio essenziale e olio di mandorle) si può realizzare anche una crema idratante solida, da strofinare sul corpo dopo la doccia. In questo caso, il procedimento è ancora più semplice. Sciogliete la cera a bagnomaria, aggiungendo successivamente l’olio di mandorle e le gocce di olio essenziale. Dopo aver mescolato per bene il tutto, versate il composto in alcuni stampini da dolce e lasciatelo solidificare per bene. Al termine della procedura avrete tanti piccole forme di crema solida pronta da strofinare sul vostro corpo.
Avvertenze
Quando acquistate la cera d’api, assicuratevi che sia al 100% naturale: molte delle cere in commercio contengono derivati del petrolio.
La cera d’api potrebbe lasciare dei residui sugli utensili che utilizzerete: quindi, evitate di usare il frullatore appena acquistato o la ciotola nuova che vi hanno appena regalato.
La crema fai-da-te è da evitare se si è allergici a qualcuno degli ingredienti o in caso di pelle sensibile o irritabile.
La vitiligine, o leucodermia, è una delle più frequenti manifestazioni di “ipopigmentazione” cutanea. In presenza di vitiligine, cioè, sulla pelle, ma anche sui peli o sulle mucose, si sviluppano delle chiazze bianche, delle zone non pigmentate dove manca del tutto la melanina. Ma a cosa è dovuta la vitiligine? E come si cura?
La vitiligine non ha alcuna ripercussione patologica, ma purtroppo spesso chi ne è affetto la vive come una vera e propria malattia, che, seppur non contagiosa, lo porta ad isolarsi da tutti e a vivere un forte stress emotivo.
Circa l’1% della popolazione di tutto i mondo è affetto da vitiligine, senza distinzione di sesso o di appartenenza a un gruppo etnico particolare.
Cos’è la vitiligine e tipologie
Si può definire la vitiligine come un “disordine dermatologico” a causa del quale si formano sulla pelle delle macchie bianche dovute alla inattività dei melanociti, le cellule deputate alla produzione di melanina.
Si tratta di una malattia non contagiosa e non infettiva della pelle, per la quale proprio i melanociti subiscono un’alterazione e non riescono più a svolgere il loro compito principale: per questo motivo, sulla pelle di un soggetto affetto da vitiligine si formano delle macchie bianche asimmetriche caratterizzate da un contorno normalmente iperpigmentato, ma a volte anche ipopigmentato (vitiligine tricoromica). Le macchie possono diffondersi su tutto il corpo o rimanere circoscritte in alcune aree, possono colpire le zone in prossimità di aperture (come occhi, ano o genitali), ma anche le unghie, le mani, il viso e il collo.
Queste macchie determinate dalla vitiligine sono chiamate “ipocromiche” o “acromiche”, proprio perché sono prive o eccessivamente carenti di melanina.
In genere, la vitiligine si classifica in tre tipologie principali in base alla distribuzione delle macchie bianche sulla pelle:
vitiligine bilaterale: è la forma principale (comprende circa il 90% di tutti i tipi di vitiligine) e si caratterizza per macchie bianche simmetriche sulla parte destra e sinistra del corpo. In base al numero di macchie, alle parti del corpo in cui compaiono e alla loro grandezza, la vitiligine bilaterale si distingue poi in:
vitiligine acrofacciale, quando le chiazze si sviluppano soltanto alle estremità e sul viso
vitiligine generalizzata, che si diagnostica quando le macchie ricoprono più del 70% della superficie corporea
vitiligine focale, quando le chiazze sono in numero decisamente ridotto e non si modificano col passare del tempo.
Vitiligine segmentale: comprende circa il 10% di tutti i tipi di vitiligine e si caratterizza per la presenza di macchie solo su metà del corpo (o solo a destra o solo a sinistra) che pare seguano una determinata disposizione “a percorso”.
Vitiligine perinevica: spesso visibile in pazienti affetti da vitiligine bilaterale, si caratterizza per la presenza di macchie che partono in maniera centrifuga da un neo formando una chiazza bianca intorno al neo stesso. Se i nei sono isolati in determinate aree del corpo, prendono il nome di “halo nevo di Sutton”, dal nome dello scienziato che per primo li studiò.
Sulle cause della vitiligine i ricercatori hanno ancora molto da scoprire, ma molto accreditata è la tesi per cui la depigmentazione deriverebbe da un disturbo autoimmune: le cellule che producono i pigmenti cutanei, cioè, verrebbero distrutte per errore del proprio sistema immunitario.
Per questo motivo, accadrebbe che le cellule del sistema immunitario vadano ad attaccare i melanociti, le cui funzioni verrebbero così alterate e rendendo impossibile la produzione di melanina. In queste zone, quindi, la pelle rimane bianca. Come per quasi tutte le malattie autoimmuni, anche nel caso della vitiligine l’ereditarietà pare giocare un ruolo considerevole. Germana Carillo
Linfonodi ingrossati: che ansia!
Ogni volta che qualcuno di noi si è trovato di fronte allo specchio a tastare un linfonodo ingrossato con le dita, la prima cosa che ha pensato è stato il peggio! Eppure, vi dirò: è vero che sono dei segnali che non vanno sottovalutati e bisogna sempre indagare subito la causa che è alla base di questo ingrossamento, ma quasi sempre si tratta di un segnale da parte del nostro organismo il quale ci indica che il sistema immunitario è stato turbato da qualcosa: molto spesso si tratta di un processo infiammatorio a carico dei tessuti adiacenti, di un’infiammazione di basso grado generalizzata, oppure di un’infezione; qualche altra volta la causa può essere di natura più importante, ma in quel caso i linfonodi si riconoscono per alcune caratteristiche morfologiche tipiche del processo infiltrativo in corso.
Innanzitutto, vediamo insieme: cosa sono i linfonodi, e a cosa servono? I linfonodi sono ghiandole situate in tutto il corpo, sono dei veri e propri “posti di blocco” in cui presiedono cellule importanti del sistema immunitario grazie alla loro organizzazione che favorisce le interazioni fra linfociti T, linfociti B, APC e altre cellule implicate, e la caratteristica particolare è che aumentano di volume, quando si rende necessaria una risposta del sistema immunitario nei confronti di un attacco esterno o interno. Nei linfonodi si genera anche la memoria immunologica per un particolare agente che perturba il sistema. I linfonodi sono localizzati in svariate zone dell’organismo, ed in tutto il corpo si trovano circa 600 ghiandole, in particolare li ritroviamo in alcune zone come il collo, le zone apicali degli arti, all’interno dell’addome nelle zone del peritoneo, della pelvi e del mediastino, accanto agli organi emuntori. Il sistema linfatico viaggia nell’organismo tramite la muscolatura, e svolge un’azione di drenaggio dei tessuti, impedendo l’accumulo dei liquidi.
Linfonodi ingrossati: come riconoscerli e quali sono le cause
All'improvviso rigonfiamento dei linfonodi ci desta molta preoccupazione, e in genere la prima cosa che si fa è pensare a malattie molto gravi. A dire il vero, siccome essi sono situati nei punti in cui confluiscono i vasi linfatici, all’interno dei quali si trova la linfa, un liquido che contiene sostanze fisiologiche e nutrienti, e che proviene dal sangue, nella maggior parte dei casi, quando si notano i linfonodi leggermente ingrossati, il motivo è dovuto a banali infezioni, anche un semplice raffreddore, un’infezione ai denti, ad un ascesso, ad una stomatite, ad una tonsillite; alcune patologie, come la mononucleosi infettiva, l’herpes, alcune forme di febbre malarica, la toxoplasmosi, le malattie tipiche dell’infanzia come rosolia e parotite, il lupus eritematoso e la faringite hanno come segno principale del processo clinico proprio l’ingrossamento degli stessi. Altre volte una malattia autoimmune, una forma di allergia, può causare l’ingrossamento dei linfonodi. Altre volte, e raramente, sono indice di tumore.
Abbiamo capito che il ruolo dei linfonodi è quello di costituire la prima reazione del sistema immunitario nei confronti delle malattie le abitudini sbagliate che generano infiammazione, indipendentemente dalla loro gravità, andando a generare globuli bianchi per reagire nei confronti di fattori esterni, virus, batteri e altro: hanno il compito di difenderci quando si ingrossano, quindi dobbiamo subito pensare che l’organismo ci sta solamente aiutando!
Normalmente, nel momento in cui l’infezione si è risolta, i linfonodi tornano alle dimensioni normali. Si tratta di una funzione che viene attivata di frequente, anche se spesso passa inosservata. Dott. Francesco Garritano