Okinawa è una piccola isola situata al largo del Giappone. L’età media dei suoi abitanti è di 84 anni, ma sono molte le persone che arrivano e superano i 100 anni di età. Le motivazioni di ciò, in primis l’alimentazione, sono oggetto di studio di parecchi esperti. In Italia, invece, c’è un’altra isola, la Sardegna, dove attualmente si contano ben 370 individui che hanno superato il traguardo dei cento anni di vita. L’aspetto più interessante è che il traguardo è stato passato più che bene, senza disturbi cronici come Alzheimer, diabete e altre malattie che oggi affliggono il resto del mondo.
Autoproduzione, condivisione, risparmio, sostenibilità: sono questi i concetti alla base dei forni sociali o "di comunità", messi a disposizione da chi vuole cuocersi il pane da solo, scegliendo gli ingredienti più genuini e preferendo una cottura non industriale. In passato esistevano i "forni di quartiere", poi la tradizione si è persa, anche per l'avvento della grande distribuzione. Oggi, probabilmente anche a causa della crisi, c'è una riscoperta dei forni di comunità. Negli ultimi anni ne sono nati parecchi, soprattutto nei quartieri popolari delle grandi città e nei piccoli paesi, dove (per fortuna) persiste un maggiore livello di socialità e condivisione.
In un’epoca come questa in cui sembra essere tutto virtuale, è importante diffondere realtà in grado di creare aggregazione sociale, comunicazione e mutuo soccorso tra persone in carne ed ossa. Con questo spirito sono nate le “social street”, comunità di persone che utilizzano i social network per creare rapporti tra vicini, di porta, di palazzo, di strada.Si tratta di gruppi di cittadini che abitano nella stessa strada e che decidono di costituirsi in comunità per socializzare tra loro e realizzare progetti che interessano sia i singoli che la collettività.In questo modo diventa più facile trovare qualcuno che si occupi del bambino nel caso in cui si ha un impegno improvviso, o che ci aiuti a trasportare un mobile pesante. Altre iniziative interessanti possono essere prese sfruttando la modalità del social street, ad esempio il bookcrossing, una mostra fotografica, l’organizzazione di un concerto autoprodotto o un originale e divertente compleanno “in strada”.Il primo esperimento di social street è partito da Bologna, per la precisione da via Fondazza, una strada stretta nel cuore del centro storico, con le tipiche case rosse e basse e i portici. Anche qui, come in altre città italiane, i rapporti umani sono diventati sempre più impersonali. Per intenderci, si fatica a salutare il vicino di casa che si incontra tutti i giorni sul pianerottolo. E’ stato Federico Bastiani, originario della Toscana che a Bologna vive con la moglie ed un bimbo, a decidere di riattivare i rapporti di vicinato creando un gruppo Facebook per i residenti della strada e poi l’ha pubblicizzato con qualche volantino. “Conoscere una decina di persone sarebbe stato già molto: oggi siamo già quasi in mille”.Tra tutte le social street di Bologna si mettono insieme 6 mila persone, 5 mila a Milano. In tutta Italia, ormai, 15 mila. Esperienze analoghe, sulla falsariga di quella bolognese, sono nate anche all’estero: in Croazia, Portogallo, Brasile, Nuova Zelanda.Facebook funge da strumento aggregatore. Le social street sono gruppi che nascono in Rete e che poi si ritrovano, appunto, in strada. La pagina del social network è il luogo dove iniziare la conoscenza reciproca e proporre iniziative o lanciare appelli.Il fenomeno rientra tra quelle esperienze di condivisione sempre più diffuse che rappresentano una risposta concreta alla crisi economica. Una risposta che contrappone i valori antichi della comunità e della persona a quelli della precarietà e della globalizzazione. Una bella idea, non vi pare? Avete esperienze simili da raccontare? #gocamgo