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Vladimir Luxuria sul monologo di Pio e Amedeo: “In certi contesti di omofobia, transfobia e bifobia non basta farci una risata sopra”
Il monologo che Pio e Amedeo hanno tenuto nell’ultima puntata dello show “Felicissima sera” continua a suscitare varie polemiche e reazioni. In particolare, i due comici in trasmissione hanno dichiarato che alcune parole offensive ormai considerate un tabù come "neg*o" e "froc*o" dovrebbero essere pronunciate liberamente, perché- secondo loro “ la cattiveria sarebbe nell’intenzione”.
Vladimir Luxuria è intervenuta ad esprimere il suo punto di vista circa l’invito del due comico a replicare alle accuse razziste ed omofobe con l’ironia (“Se vi chiamano neg*o, ricchio*e, voi ridetegli in faccia”), hanno detto.
Luxuria, che ha postato in un video la sua risposta pacata ed elegante, si è anche soffermata a commentare le dichiarazioni di Pio e Amedeo sul Gay Pride.
"È vero che l’ironia è vero che è un vaccino contro il virus della stupidaggine. Una volta mi urlarono ‘brutto fr**io’ e io risposi ‘brutto a chi’? In quel modo ho smussato l’arma dell’avversario. Voi avete fatto delle battute su di me dicendo che mi nascondo il salamino e poi ci siamo sentiti al telefono e ci ho riso sopra essendo dotata di autoironia. Io vi ho risposto ridendo ‘vi strapperò i peli uno ad uno’. Perché sono una persona pronta a prendermi in giro, perché l'intenzione vostra non era offendermi.
E' vero che bisogna considerare il contesto. Però l’ironia non basta purtroppo. Ad esempio a Malika, che è stata cacciata di casa dalla madre. A lei non sarebbe bastato ridere in faccia alla mamma. Così come ricordo che quando mi bullizzavano a scuola e mi facevano perdere la voglia di andarci, all’epoca non ce la facevo a ridere. Quando mi picchiavano nella mia città, se avessi riso non avrebbero smesso di picchiarmi. Spesso le parole non vengono frenate dalle risate”, ha detto.
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Un tempo la televisione proponeva, in prima serata, i programmi di intrattenimento in cui, oltre alla banalità e alla comicità, si cercava di veicolare qualche messaggio più serio che potesse raggiungere i telespettatori esigenti e attenti ai particolari(e forse prima ce n’erano di più, per fortuna).
Oggi, che ognuno di noi è abituato a guardare la televisione con occhio più distratto e che la quantità batte sicuramente la qualità di ciò che si vede (la quarantena, in alcuni, ha aumentato il numero di programmi guardati in tv pur di tenersi compagnia o ingannare il tempo), anche i telespettatori critici sono inferiori sia nel numero che nella forza.
Che bello, ci sono Pio e Amedeo in tv. Ci vuole un po’ di leggerezza, in questo periodo. Ben venga, certo. Il varietà di una volta aveva proprio questo scopo: intrattenere il pubblico a casa per distrarlo dalla routine di ogni giorno. Si aspettava il sabato per gustarsi un programma della Raffa Nazionale o Corrado, o Mike Buongiorno (per dirne solo alcuni).
Ma il duo comico foggiano a tanti non fa ridere. Il motivo? Non c’è bisogno di offendere, utilizzare parole forti e sfottimenti vari per attirare l’attenzione del pubblico. In un programma televisivo in prima serata su Canale Cinque permettetemi (e non sono perbenista) di non voler sentire un linguaggio così triviale, da taverna o da tavolata tra maschiacci un po’ trogloditi.
“Non dobbiamo vergognarci di dire la parola ‘neg*o’ perché conta la cattiveria nella parola, conta l’intenzione. Se l’intenzione è cattiva, allora è da condannare. Il politically correct ha rutt’o ca**“, hanno detto.
Ok, allora se proprio le parole contano come è giusto che sia, cominciate ad usarne di meno e che siano quelle giuste. Non bisogna far ridere a tutti i costi, e non è necessario ricorrere ad esempi come la malavita, la delinquenza foggiana e dintorni per riscuotere applausi e consensi (che probabilmente arrivano proprio da quella stessa gente).
E non ci piace sentire che Bitonto è una Cerignola che non ce l’ha fatta (perché come le rubano a Cerignola le macchine, non le ruba nessuno).
Permettetemi di sentirmi offesa, visto che a Cerignola, Foggia, Bitonto e in Puglia c’è molto, molto di meglio.
Come giustamente qualcuno metteva in evidenza, la televisione dovrebbe essere cosa ben diversa da una tavolata tra amici che sparano cavolate.
Abbiamo davvero bisogno di questo, in un periodo del genere? O di puntare su una comicità più sana che ci riporti a momenti spensierati ma dove ogni parola sia quella giusta, e non sparata giusto per fare scena?
Cristiana Lenoci per Lamia-Puglia.com
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Libri e romanzi raccontano il lavoro di oggi tra pandemia e precariato: ecco quali scegliere
Rispetto all’anno scorso, l’Istat ha registrato un generale calo dell’occupazione in Italia, e non solo femminile. Stando ai numeri attuali, si conta circa un milione di lavoratori in meno. Negli ultimi venti anni i riflettori sono tutti puntati sulla disoccupazione e le nuove forme di precariato.
Oggi, primo Maggio (festa del lavoro), sarebbe utile citare i libri e romanzi che trattano questi argomenti: alcuni, in particolare, sono diventati testi-manifesto di una nuova generazione che sta crescendo con “pane e precariato”.
“Il mondo deve sapere” di Michele Murgia è il diario autobiografico di una telefonista addetta al call-center alle prese con un lavoro spesso frustrante ed episodi di mobbing tra colleghi. Il libro, pubblicato nel 2016, ha ispirato Paolo Virzì che ne ha tratto il film “Tutta la vita davanti”.
Alcuni libri che trattano di lavoro e precariato sono veri e propri testi di denuncia e critica sociale, e formano una categoria a sé stante che attira un gran numero di lettori.
“Veniamo bene nelle fotografie” è il libro dell’autore Francesco Targhetta, pubblicato nel 2012 (vagamente tenero e a tratti introspettivo) e successivamente riproposto da Mondadori.
Poi c’è “La questione più che altro” di Ginevra Lamberti, edito da Nottetempo nel 2015, che si caratterizza per la vena ironica e sognante, e “Cordiali saluti” di Andrea Bajani, dal tono decisamente amaro, edito da Einaudi nel 2005.
Altro titolo per chi vuole approfondire questi argomenti è “Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese” di Aldo Nove, pubblicato nel 2006 da Einaudi Stile Libero.
Più recente, perché risalente al 2017, è il volume scritto da Giorgio Falco, e intitolato “Ipotesi di una sconfitta” di Einaudi Stile Libero.
Ancora più attuali, pubblicati lo scorso anno, sono: “Cosa pensavi di fare” di Carlo Mazza Galanti (ed. Il Saggiatore) e “La vita adulta” di Andrea Inglese (Ponte delle Grazie).
Cristiana Lenoci per Culturabiografieonline