Cristiana Lenoci

Blogger, redattrice web

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Cristiana Lenoci

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Famiglia è Tornare a casa la sera e trovare qualcuno che ci aspetta, magari nella baraonda generale, con la cena ancora da preparare e le stanze disseminate da mine antiuomo sotto forma di oggetti non identificati sparpagliati sul pavimento. Una specie di day after da bombardamento nucleare che ci fa rimpiangere di non essere ancora al lavoro, ma che poi ci manca terribilmente in altri momenti quando invece la casa è silenziosa e troppo in ordine. Famiglia è avere qualcuno con cui condividere il divano e litigare per il telecomando, scaldarsi i piedi sotto al piumone. Decidere le vacanze, portare fuori il cane, fare la spesa il sabato mattina, dividersi i turni di apparecchio/sparecchio, rubarsi il primo posto in bagno al mattino. Famiglia è un abbraccio a sorpresa quando ti senti proprio giù di morale, stare in silenzio senza bisogno di parlare, capirsi al volo. O anche non capirsi mai, ma amarsi lo stesso, non si sa per quale strano algoritmo o elica genetica o pazienza senza fondo. E’ mettersi il muso per giorni e poi fare la pace, senza ragioni apparenti, solo per abitudine o scarsa resistenza, che a stare arrabbiati ci vuole energia, e in fondo è una perdita di tempo. Famiglia è avere ricordi comuni e crescere nella stessa terra, chi per toccare il cielo, chi per restare vicino all’erba, piante diverse con le medesime radici. E’ gioire e soffrire in modalità multipla: perché quando si diventa famiglia non si è più soli, nel bene e nel male, neppure le volte che si vorrebbe. Famiglia è tante cose diverse, e per quanto si provi a dargli un nome (tradizionale, allargata, monogenitoriale, arcobaleno), ce ne sarà sempre qualcuna che sfugge a titoli e classificazioni. In base ad un recente sondaggio, per il 32% degli italiani, famiglia è “due persone che si amano e condividono un progetto di vita”, senza precisazioni. Ciò che conta non è la forma, ma la forza dei sentimenti.

Cristiana Lenoci

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Buon Venerdì 17 a tutti Il terrore del venerdì ha, un po’ ovunque, legami con il cristianesimo visto che la Bibbia scrive che di venerdì morì Gesù (venerdì santo). Non solo. Nell’Antico Testamento è scritto che il diluvio universale cominciò il 17 del secondo mese (Genesi, 7-11). Già nella Grecia antica, però, il numero 17 era odiato dai seguaci di Pitagora in quanto era tra il 16 e il 18, perfetti nella loro rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6. La sfortuna del povero numero si è poi sommata negli anni perchè caso vuole che proprio di 17 siano avvenute alcune grandi sconfitte nelle storia. È possibile che la paura del numero 17 derivi, ad esempio, dalla battaglia di Teutoburgo del 9 d.c. combattuta tra i romani e i germani di Arminio e dalla distruzione delle legioni 17, 18 e 19: dopo quella data questi numeri, ritenuti infausti, non furono più attribuiti a nessuna legione. Altri ancora ritengono che la nomea di porta jella derivi dal fatto che sulle tombe dei defunti dell’antica Roma era comune la scritta “VIXI” (“ho vissuto”, cioè ora “sono morto”…), che è l’anagramma di “XVII” che rappresenta il numero 17 nel sistema di numerazione romano. Nella smorfia napoletana, per arrivare ai giorni nostri, il numero 17 è sinonimo di disgrazia ed evento infausto ed è indicato con il simbolo dell’impiccato. Non tutti, però, sono stati d’accordo nella storia. Cristoforo Colombo, ad esempio, non pensava assolutamente che fare le cose in quel giorno portasse male: partì da Porto Palos un venerdì; mise piede sulla nuova terra di venerdì e rientrò, sempre di venerdì, a Porto Palos. Tra storia, credenze, riti e miti c’è chi si fa prendere la mano e preferisce rimandare eventuali decisioni importanti o eventi chiave della propria vita al giorno successivo. Alzi la mano, del resto, colui che sceglie, ad esempio, di sposarsi venerdì 17. Della serie: non ci credo, ma mi adeguo.

Cristiana Lenoci

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Un Maggio che sembra Novembre: i pugliesi meteoropatici soffrono Basta andare in giro e rendersi conto di quanto il grigiore delle nuvole si ripercuota anche sul viso di chi incontri: di tutti, certo, ma soprattutto dei poverini affetti da sindrome meteoropatica che, in questi giorni di insolito Maggembre, se ne resterebbero ben volentieri ingrugniti dietro ai vetri, in casa, ad aspettare che questo diluvio universale finisca una volta per tutte. Il povero meteoropatico non è per niente avvezzo a tali cambiamenti climatici repentini, e oltre ad essere spento e senza energia si ritrova pure con mal di gola e febbre. Di solito, per stare bene gli basta una passeggiata sulla spiaggia oppure al parco. Ma con questo tempo la cura non è proprio immediata, anzi l’umidità peggiora le cose e annacqua pure il cervello. Giorni e giorni che si susseguono cupi e senza uno spiraglio di sole: se almeno fossimo nei Paesi del Nord Europa potremmo compensare la cosa con una migliore qualità della vita e servizi di eccellente qualità in tutti i campi. In Finlandia vanno in bicicletta tutti sorridenti con temperature sotto lo zero, una cosa che a noi pugliesi fa venire i brividi solo a pensarci. Il meteoropatico detesta le previsioni del tempo, perché ci azzeccano quasi sempre: preferisce vivere alla giornata, uscire alla finestra e capire “che tempo fa” annusando l’aria. Quando la primavera sembra un inverno, la sua patologia si acuisce e la voglia di estate gli prende lo stomaco: finisce con il non avere più fame, e la bilancia ringrazia. “Non può piovere per sempre”, si ritrova a ripetere come un mantra. Essere meteoropatici di sti tempi è proprio un dramma. Se sei pugliese, poi, lo è ancora di più.

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