Cristiana Lenoci
Blogger, redattrice web
" CHI NON CONOSCE IL CIBO NON PUO' CAPIRE LE MALATTIE DELL'UOMO". ( Ippocrate) "Se l'alimentazione fosse un tema maggiormente compreso, e se la prevenzione e le cure naturali fossero più accettate dalla comunità medica, non ci troveremmo a riservare nei nostri corpi una tale quantità di farmaci tossici e potenzialmente letali." ( Dottor Champbell) "Disponiamo di un' enorme quantità di informazioni sui legami tra informazione e salute, ma la vera scienza è stata sepolta sotto un cumulo di informazioni irrilevanti, se non addirittura dannose:la scienza spazzatura, le diete alla moda e la propaganda dell'industria alimentare" ( Dottor Campbell) " Se la tua alimentazione è giusta non hai bisogno di medicine, se la tua alimentazione è sbagliata le medicine non servono.... "(proverbio ayurveda) "L'economia di oggi così globalizzata, si può "mangiare" l'inquinamento di una zona molto lontana". I cibi non sono controllati per quanto riguarda la presenza di polveri sottili e che, più in generale, i produttori non hanno la minima volontà di prestare attenzione a questo problema, ignorato da quasi tutta la clientela oltre che dalle Leggi. Ci capita spesso d'incontrare produttori di alimenti (anche biologici) o di farmaci ai quali mostriamo l'inquinamento nei loro prodotti e ne spieghiamo i pericoli. Dopo un primo momento di sconcerto la reazione è regolarmente quella di risponderci che non esistono nè leggi in proposito nè cultura medica sufficientemente diffusa nè, tantomeno, informazione a livello popolare, non si vede la ragione per cui ricercare quegli inquinanti o per mettere in atto pratiche volte ad eliminarli. Eppure si tratta di problemi facilmente risolvibili; basterebbe individuare lungo il processo industriale la fonte d'inquinamento di cui conosciamo morfologia e chimica e studiare un sistema per eliminarlo. ( Dottor Stefano Montanari)
Cristiana Lenoci
Blogger, redattrice web
Addio cultura umanista. Per i ragazzi non ha senso «Io non esisto più, sono diventata invisibile», mi dice una professoressa con la voce spezzata e gli occhi umidi. «Entro in classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno mi ascolta. Nessuno, capisci? E così per giorni, mesi, forse per tutto l’anno. La mia voce non gli arriva, parlo e vedo le parole che si dissolvono nell’aria, e dopo un poco mi sembra che anch’io mi dissolvo, resta solo un senso di impotenza, di fallimento». Quante volte negli ultimi anni ho raccolto dai miei colleghi sfoghi di questo genere: professori di lettere, storia, filosofia, arte che si sono ben preparati per la loro lezione e che finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate accese in un angolo, e a poco a poco si scaricano, si spengono malinconicamente. Perché accade questo, perché sembrano saltati i ponti e le rive si allontanano sempre di più? A riguardo mi sono fatto un’idea. Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta, ma di sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato ed educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell’uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito, possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla potenza e all’atto, alla maieutica e all’iperuranio, alla letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli angeli barocchi, all’idealismo tedesco e al simbolismo francese, a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa nel deposito degli oggetti perduti. È chiaro che da qualche parte, in un eccellente liceo classico, esiste e resiste un ragazzo che legge Platone, scrive sonetti, suona il violino e studia la pittura di Raffaello, la vita per fortuna si diversifica per avanzare. Ma per la stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E non serve che gli adulti lo lucidino per farlo apparire più vivo: se brilla lo fa come una bara. È così, c’è poco da fare, l’oceano del passato non arriva più a lambire la spiaggia del presente. Anche Huckleberry Finn rifiuta la storia di Mosè e della manna nel deserto quando scopre che Mosè è morto da secoli, della gente morta un ragazzo non sa che farsene, dice Huck, e forse ha ragione. Ma per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio nonno – e più indietro non vado – il passato non era un tempo che svaniva insieme ai foglietti del calendario. Certi morti non erano mai morti. Fossero gli eroi greci o quelli del Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John Coltrane o Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell’immaginazione e nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d’acciaio o una ghirlanda di fiori univa il meglio al meglio, la bellezza alla speranza, la forza alla fiducia. Leggevo Dostoevskij e Tolstoj come se fossero dei fratelli maggiori, non li collocavo nel regno cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate da un tempo lontanissimo fino a perdersi nell’incomprensibilità . E i quadri di Bellini e quelli di Morandi entravano a far parte dello stesso museo interiore, ogni giorno una nuova opera si sistemava su una parete vuota: e le pareti erano infinite, come le meraviglie del passato. Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli elefanti. La vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi sono fumo nel vento... Che tristezza però (aggiungo io)
Cristiana Lenoci
Blogger, redattrice web