Mari e oceani: dove si accumula lo strato di plastica
Sotto alla superficie c'è un ampio strato dove si riscontra la massima concentrazione di microplastiche e frammenti di plastica.
Non in superficie, ma appena più sotto, tra i 200 e i 600 metri di profondità : pare questo il livello in cui si concentrano i frammenti della plastica che finisce in mare. Lo riporta su Nature un gruppo di ricercatori dell’Università della California (San Diego) che ha utilizzato robot telecomandati progettati ad hoc - i cosiddetti ROV (Remote-Operated Vehicle) - per campionare l’acqua nella baia di Monterey, a sud di San Francisco.
I piccoli veicoli, adoperati a circa 25 chilometri dalla costa, hanno rilevato la presenza di pezzi di plastica di dimensioni inferiori a cinque millimetri nell’intera colonna d’acqua misurata: dalle 2 particelle per metro cubo vicino alla superficie alle 12 particelle per metro cubo a circa 300 metri di profondità . A fare la parte del leone sono il polietilene tereftalato (PET), il poliammide e i policarbonati, ossia i più comuni materiali adoperati per realizzare prodotti di consumo come bottiglie e contenitori usa e getta.
Plastica al posto delle alghe: gli scogli nell'Antropocene
Tra i 200 e i 600 metri di profondità i ricercatori americani hanno trovato una qualità di rifiuti paragonabile a quella presente nella Great Pacific Garbage Patch, la più grande delle isole galleggianti del Pacifico (grande quanto la Francia), composta dalla spazzatura di plastica catturata e trasportata tutta lì delle correnti marine - e, senza sorpresa - hanno trovato plastiche nel corpo di granchi rossi (Gecarcoidea natalis) e appendicolarie (animali filtratori grandi appena qualche millimetro).
IL PLASTICENE. Da poco sappiamo che la nostra impronta sulla Terra è ormai talmente profonda che possiamo chiamare Antropocene questa nostra era: addirittura, possiamo già identificare una sua sottosequenza (un piano temporale), il Plasticene, l'Era della Plastica. Sappiamo che molta della plastica che usiamo non è smaltita correttamente (succede anche nei Paesi più attenti e sensibili alle questioni ambientali) e che prima o poi questo materiale inizia il suo viaggio verso il mare - un viaggio lungo anni che lo degrada in pezzi sempre più piccoli, fino a diventare micro: queste microplastiche diventano cibo del cibo di cui noi stessi ci nutriamo.
Così le plastiche entrano nella nostra catena alimentare: attraverso il cibo, l'acqua e l'aria. Difficile dire quando cominceranno a farsi sentire i primi benefici delle regolamentazioni più restrittive prese da molti Paesi, e quando tutti i Paesi si adegueranno a nuove regole. Difficile immaginare quando l'industria (tutti noi, con ciò che acquistiamo) potrà fare a meno della plastica e se mai succederà . Possiamo però riflettere sul problema aiutati magari da strumenti come il calcolatore della nostra personale impronta di plastica sul mondo.
I ricci di mare viola e le foreste di alghe kelp
In alcune zone costiere ricoperte da foreste di alghe, i ricci di mare contribuiscono al benessere generale dell'ecosistema macinando i detriti delle alghe prima che soffochino il fondale.
A lungo ritenuto una minaccia per le foreste di alghe kelp, il riccio di mare viola (Strongylocentrotus purpuratus), che vive fino a 70 anni e può crescere fino a 10 centimetri di diametro, è riscattato da uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B. I ricercatori dell'Istituto di scienze marine dell'Università della California a Santa Barbara hanno dimostrato che il ruolo dei ricci è, al contrario, fondamentale per la salute dell'ecosistema delle foreste di alghe kelp giganti (Macrocystis pyrifera), lungo le zone costiere oceaniche temperate e polari.
Il ruolo del riccio di mare è quello di fare da intermediario nella catena alimentare: intercetta la maggior parte della biomassa morta che si perde dalle foreste di alghe prima che venga portata via dalle correnti marine e la rende disponibile per i detritivori, piccoli organismi decompositori, soprattutto invertebrati (molluschi, vermi...), ma anche alcuni pesci, che abitano il fondale e si nutrono della materia organica di scarto, mantenendo pulito e salubre l'ambiente. In particolare, si legge nella ricerca, i ricci riducono gli scarti in frammenti piccoli e pronti per i decompositori.
L'alga kelp, che in condizioni ideali cresce anche di 45 centimetri al giorno, non è una "prima scelta" per molti animali, che non possono nutrirsi di quel fogliame duro e indigesto. Il lavoro dei ricci è quello di creare un "frullato di alghe" a disposizione di tutti, prima che l'enorme quantità di biomassa che precipita sul fondale lo ricopra interamente, soffocandolo.
11 AGOSTO 2019 | FOCUS.IT