Luisa Cascarano
Addio alla sperimentazione animale, EPA annuncia che metterà fine ai test sui mammiferi Dal 2035 l’agenzia per la protezione dell’ambiente americana (EPA) porrà fine alla sperimentazione di prodotti chimici su cani, conigli, topi, scimmie e altri mammiferi. Entro il 2025 questi test saranno ridotti ridotti del 30 percento. L’obiettivo è puntare sui metodi alternativi come colture cellulari, organi su chip e simulazioni al computer, che non solo sono etici, ma anche più precisi, rapidi ed economici. L'Agenzia per la protezione dell'ambiente americana (EPA – US Environmental Protection Agency) ha annunciato che ridurrà del 30 percento la sperimentazione di prodotti chimici su mammiferi come topi, cani, gatti, conigli e scimmie entro il 2025. L'obiettivo più virtuoso, tuttavia, è quello di eliminarla definitivamente entro il 2035, salvo rarissime eccezioni che saranno valutate caso per caso. Al posto della tradizionale sperimentazione animale di farmaci e pesticidi, per la quale deve essere richiesta autorizzazione proprio all'EPA, saranno incentivate le cosiddette tecniche NAM (New Approach Methods), come simulazioni al computer veicolate dall'intelligenza artificiale, colture cellulari, organi su chip e altro ancora: sono considerate più precise, veloci, economiche e ovviamente più etiche, essendo rispettose degli animali e dell'ambiente. Anche l'organizzazione Physicians Committee for Responsible Medicine (PCRM) che si occupa di ricerca e medicina preventiva ha plaudito al cambio di rotta dell'agenzia per la protezione dell'ambiente. “Siamo lieti di vedere i progressi compiuti dall'EPA nell'adottare metodi di ricerca più recenti ed efficaci e siamo entusiasti di sapere che l'agenzia si sta impegnando per spostarsi verso test non animali che proteggeranno meglio la salute umana e l'ambiente”, ha dichiarato in una nota la dottoressa Kristie Sullivan, vice presidente per le politiche sulla ricerca del comitato americano. Come indicato nei comunicati dell'EPA, la fine dei test riguarderà i mammiferi, dunque continuerà quella su altri vertebrati – come i pesci, rettili e anfibi – e naturalmente sugli invertebrati. http://scienze.fanpage.it/
Luisa Cascarano
Acqua radioattiva di Fukushima in mare, l’esperto: “Scelta possibile con analisi di rischio” Il Giappone ha annunciato di voler sversare in mare l’acqua radioattiva di Fukushima, è una scelta pericolosa? Perché si è deciso di procedere in questo modo? Fanpage.it lo ha chiesto all’ingegner Fabrizio Trenta dell’ISIN che ci spiega nel dettaglio le motivazioni, i rischi e le cause di questa strategia di smaltimento. La Tokyo Electric Power Company (TEPCO), la società che gestisce la centrale nucleare giapponese di Fukushima, ha fatto sapere di avere intenzione di versare l’acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico. La notizia ha fatto il giro del mondo e in molti si sono preoccupati per eventuali danni ambientali legati a questa decisione. Ma è davvero pericoloso? Lo abbiamo chiesto all’ingegnere Fabrizio Trenta dell’ISIN che ci ha spiegato cosa c’è da sapere sui versamenti di acqua radioattiva in mare. Quali sono i potenziali danni ambientali e per la salute conseguenti il versamento in mare dell’acqua radioattiva di Fukushima? "Dai dati che abbiamo raccolto e analizzato abbiamo visto che l’acqua che attualmente è stoccata nei serbatoi sull’impianto di Fukushima è di circa 1 milione di metri cubi con un’attività totale di 1015 Bq, cioè 1.000 TeraBq (Becquerel, unità di misura del Sistema internazionale dell'attività di un radionuclide), che è l’attività totale del trizio. A titolo puramente esemplificativo se questo è il quantitativo di acqua radioattiva che si è pensato di scaricare davanti all’impianto, su un volume di acqua di mare di un chilometro quadrato per un’altezza dell’Oceano di 100 metri, si arriverebbe ad una concentrazione di trizio di 10mila Bq/litro. Questi 10mila Bq/litro corrispondono alla concentrazione di trizio che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dà come limite per l’acqua potabile. Quindi in teoria se l’acqua dell’Oceano fosse potabile, noi quest’acqua potremmo berla. Ovviamente questo esempio prende a riferimento una situazione estremizzata e non realistica e serve soltanto a dare un’idea dell’entità del problema. Infatti il rilascio avverrebbe con gradualità e le correnti porterebbero a coinvolgere quantitativi enormemente più grandi di acqua dell’oceano con conseguenti effetti di diluizione". Di per se però questo esempio non è però risolutivo per escludere rischi per l’ambiente. "Va infatti tenuto presente che il rilascio di effluenti radioattivi nell’ambiente è previsto per tutti gli impianti nucleari e sono stabilite specifiche norme che impongono il rispetto di determinati limiti di dose alla popolazione e anche l’effettuazione del monitoraggio della radioattività ambientale nelle zone limitrofe degli impianti. Nel caso di rilascio nell’ambiente marino si deve considerare che la diluizione non riduce la quantità delle sostanze radioattive scaricate e quindi occorre verificare se nel caso concreto, sulla base di una specifica valutazione del rischio e monitoraggi, i versamenti previsti dal Giappone non creino rischi per l’ecosistema interessato, tenuto conto delle limitate caratteristiche di pericolosità delle quantità di trizio in questione. Risulta comunque che dopo l’incidente l’acqua e ambiente marino sono sottoposti ad un continuo controllo i cui esiti sono, tra l’altro, trasmessi dalle autorità giapponesi all’Agenzia Internazionale dell’energia atomica". Quali sono le caratteristiche del trizio? E cos’è? "Il trizio è l’isotopo radioattivo dell’idrogeno, l’altro isotopo è il deuterio. L’idrogeno è un elemento in cui, all’interno del nucleo atomico c’è un protone e ha un elettrone che gli gira intorno. Il deuterio è fatto da un protone e un neutrone nel nucleo, con un elettrone che gira intorno. Il trizio è fatto da un protone e due neutroni e un elettrone che gli gira intorno. Mentre l’idrogeno e il deuterio sono stabili, il il trizio è radioattivo cioè ha una vita limitata che tende ad esaurirsi, decade (si trasforma) in un altro elemento emettendo radiazioni.
Luisa Cascarano