Luisa Cascarano
Il cyberbullismo e quella legge sconosciuta. Ferrara:”Bisogna solo applicarla” pprovata dopo circa quattro anni dalla presentazione ed entrata in vigore da due anni, la legge in materia di cyberbullismo sembra non trovare ancora una giusta collocazione, tanto da diventare oggetto di attacco. La legge 71/17 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” approvata il 18 giugno 2017 in particolare stabilisce una precisa definizione del fenomeno; è rivolta ai minori dai 14 anni in su, (motivo di discussione tra Camera dei Deputati e Senato e di ritardo nell’approvazione); indica i ruoli e le funzioni istituzionali e non solo e chiama in causa diversi attori, primi tra tutti genitori e docenti. La legge inoltre punta al fenomeno soprattutto in maniera preventiva, attraverso specifiche azioni rivolte agli studenti. In pochi, se non addirittura pochissimi. Gli studenti non hanno mai sentito parlare della normativa e i genitori neanche. “In questo modo viene meno l’applicabilità dell’articolo 2 – spiega Elena Ferrara, prima firmataria della legge (nella foto) – dove vengono indicate le misure di tutela del minore nella Rete attraverso un’“istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet” […]”e il coinvolgimento del Garante per la Privacy”. “Se i giovani non conoscono la legge – dichiara Ferrara- è chiaro che non possono conoscere gli strumenti di garanzia messi in atto dalla norma”. Ma oltre alla mancata informazione della legge appare evidente anche la mancata attuazione di alcuni degli articoli della stessa. Primo tra tutti l’articolo 3 che prevede l’istituzione di un tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, “con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge” Ad ogni modo, a mettere in discussione l’efficacia della normativa è parte della maggioranza del Governo che sollecita, attraverso una proposta di legge, in esame in commissione Giustizia, la necessità di apportare “Modifiche al codice penale, alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori”. La proposta in particolar modo agisce sotto il profilo punitivo del fenomeno, affiancando “alle stesse (della legge in atto) l’impiego di strumenti di tutela penale per combattere le varie forme di bullismo”. Per cui se, ad esempio, nell’attuale legge 71/17, l’articolo 5 indica che “il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale”, nella proposta di legge invece: “ pone a carico del dirigente scolastico l’obbligo di trasmettere tempestivamente la segnalazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni […] “ A sollevare diverse polemiche sono stati inoltre i numeri esigui di segnalazioni e ammonimenti e da qui a dire che la legge non funziona il passo è stato davvero breve. “Quante denunce servono allora per giudicare la normativa vigente funzionante? E soprattutto quale esempio diamo agli adolescenti se noi adulti siamo incapaci di creare sinergie e alleanze educative?” a porre le questione è la madre della legge, Elena Ferrara. “La legge sul cyberbullismo – conclude Ferrara- in sostanza non è stata mai attuata. Il comitato di monitoraggio, ad esempio, non è stato mai formato”. Intanto l’allerta sul fenomeno, a largo coinvolgimento sociale, resta alto e i tra gli adolescenti continua a salire numero delle vittime.
Luisa Cascarano
Cura anticancro, l'Aifa approva la terapia sperimentale reggiana Via libera dell’Agenzia del farmaco per la lotta contro i tumori neuroendocrini Reggio Emilia, 25 agosto 2019 - È da oltre un decennio che la Struttura complessa di Medicina Nucleare dell’Ausl Irccs di Reggio utilizza in via sperimentale la terapia radiorecettoriale con analoghi della somatostatina radiomarcati per la cura dei tumori neuroendocrini. Questa terapia si basa sull’impiego di farmaci radioattivi (radiofarmaci) che vanno a localizzarsi sulle lesioni tumorali fissandosi a particolari recettori (i recettori della somatostatina, appunto) presenti in grande quantità in questo tipo di neoplasia. La radiazione permette di distruggere in modo mirato le cellule del tumore. Quest'anno il radiofarmaco ha ottenuto l’approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa) e, proprio grazie ai risultati ottenuti, è giunto sotto i riflettori nazionali e internazionali. È per questo che la Struttura Complessa di Medicina Nucleare dell’Ausl Irccs reggiano è stata protagonista al Congresso americano organizzato dalla Society of Nuclear Medicine and Molecular Imaging (Snmmi), per illustrare il ruolo della medicina nucleare sia nella diagnosi (mediante l’uso della Pet) sia nella terapia dei tumori neuroendocrini (terapia radiorecettoriale). «Utilizziamo da oltre un decennio in via sperimentale la terapia radiorecettoriale con analoghi della somatostatina radiomarcati – spiega Annibale Versari, direttore della Struttura complessa di Medicina Nucleare all’Ausl Irccs di Reggio – ma solo nel 2019 il radiofarmaco ha ottenuto l’approvazione da parte dell’Agenzia Italiana del farmaco. Grazie agli ottimi risultati ottenuti, tale trattamento ha destato grande interesse a livello internazionale ed è arrivato sotto i riflettori degli studiosi americani. I quali, al congresso di quest’anno, ci hanno invitato ad organizzare, in collaborazione con l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare (Aimn), due sessioni scientifiche nelle quali discutere dell’argomento con esperti nazionali e internazionali in considerazione della nostra esperienza ultradecennale». Una volta ottenuto il via libera da parte dell’Agenzia Italiana del farmaco, il radiofarmaco ha iniziato ad essere commercializzato nel nostro paese a partire da quest’anno. «Lo utilizziamo – spiega Versari - per i tumori neuroendocrini gastroenteropancreatici, quando non possono essere asportati chirurgicamente, se si sono diffusi in altre parti del corpo o non rispondono ad altre terapie». Prosegue ancora il direttore: «Attraverso vari protocolli sperimentali, con tali radiofarmaci abbiamo eseguito in questi anni oltre 2300 trattamenti in circa 500 pazienti provenienti da tutta Italia (oltre l’80% da fuori regione)». Il reparto di Medicina Nucleare dell’Irccs Ausl di Reggio, da sempre interessato e impegnato nei campi dell’innovazione e della ricerca, è una delle quattro strutture dell’ospedale ad aver ottenuto l’autorizzazione per gli studi sperimentali di fase I per l’«utilizzo di un farmaco per la prima volta nell’uomo».
Luisa Cascarano