Luisa Cascarano
Smog e salute: gli effetti dell'inquinamento atmosferico sul corpo umano L'esposizione all'inquinamento atmosferico è legata a una serie sorprendente di patologie: la ricerca dimostra che non esiste una soglia sicura.Un'emergenza smog talmente cronica da non fare quasi più notizia. Nel mese di gennaio cinque città italiane (Frosinone, Milano, Padova, Torino e Treviso) hanno sforato per ben 18 volte i limiti giornalieri di PM10, una delle frazioni in cui è suddiviso il particolato atmosferico, l'insieme di sostanze solide e liquide sospese nell'aria che respiriamo, il principale inquinante nelle aree urbane. Lo sottolinea il rapporto Mal'aria di Legambiente, che ricorda che, nel 2019, 26 centri urbani italiani sono risultati fuorilegge sia per le polveri sottili sia per l'ozono (O3), particolarmente pericoloso per chi soffre d'asma. Ma quali sono gli effetti dell'inquinamento atmosferico sulla salute? DANNI DIFFUSI. Spiega Mark Miller, ricercatore del Centre for Cardiovascular Science dell'Università di Edimburgo: «Ci sono molte diverse componenti dello smog che possono essere dannose per la salute, inclusa una varietà di gas, di composti liquidi volatili e di particelle. Nel complesso, sembra che il particolato sia la frazione più pericolosa. Queste particelle provengono da un'ampia gamma di fonti e possono essere chimicamente molto complesse. Il PM10 e il PM2.5 (5-10 volte più piccoli dello spessore di un capello) sono misurati dai sensori cittadini. In linea generale più una particella è piccola, più è dannosa: preoccupazioni ancora maggiori desta il particolato ancora più piccolo, quello di dimensioni nanometriche espulso dai gas di combustione». «Il particolato fine (PM2.5) è associato ad effetti cardiopolmonari, in quanto contribuisce alle patologie respiratorie e può scatenare attacchi d'asma: infatti, le particelle più sottili penetrano oltre i polmoni all'interno della circolazione sanguigna, dove causano infiammazione e contribuiscono alle malattie cardiache» spiega a Focus.it Stefan Reis, a capo dell'area scientifica Atmospheric Chemistry and Effects del Centre for Ecology and Hydrology (Regno Unito). «Più recentemente, l'esposizione all'inquinamento atmosferico in generale e in al particolato nello specifico sono state associate a basso peso alla nascita, ad effetti sulla salute mentale, al diabete e ad altre malattie».VITTIME SILENZIOSE. Secondo il Ministero della Salute, ogni anno 30 mila decessi in Italia sono riconducibili al particolato fine (PM2.5). Si calcola che l'inquinamento atmosferico accorci mediamente la vita di ciascun italiano di 10 mesi. Con il solo rispetto dei limiti di legge (che prevedono che non si oltrepassino i 50 microgrammi per metro cubo in media in una giornata) si potrebbero salvare 11 mila vite all'anno. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel 2016, l'inquinamento dell'aria sia stato responsabile di 4,2 milioni di morti premature nel mondo, in 9 casi su 10 avvenute nei Paesi a medio e basso reddito. Il 58% di questi decessi è riconducibile a ischemie ed ictus, il 18% a malattia polmonare ostruttiva cronica o a infezioni acute delle basse vie respiratorie, il 6% a cancro ai polmoni. Una valutazione della IARC del 2013 ha concluso che l'inquinamento atmosferico è un agente carcinogeno per l'uomo: il particolato è strettamente associato a un'aumentata incidenza di tumore, specialmente ai polmoni; e ci sono anche associazioni tra inquinamento dell'aria e aumento dei tumori del tratto urinario.UN COLPO AL CUORE. «La maggior parte delle persone sa che l'inquinamento dell'aria causa problemi ai polmoni, ma l'esposizione allo smog è stata collegata anche a molte altre patologie, come attacchi di cuore, ictus, demenze, malattie renali e diabete, oltre ad avere effetti dannosi in gravidanza» chiarisce Miller.
Luisa Cascarano
L'infanzia difficile riduce il volume del cervello I bambini che vivono un'infanzia segnata da abbandono, deprivazioni e assenza di cure, vanno incontro a conseguenze durature per il loro cervello.I bambini che hanno vissuto forme estreme di abbandono e deprivazione sperimentano una riduzione del volume cerebrale duratura, visibile anche in età adulta e apparentemente non sanata dalla neuroplasticità - la capacità del cervello di modificare la sua struttura in funzione delle esperienze vissute. È quanto emerge da uno studio basato sulle scansioni cerebrali di decine di "orfani di Ceauşescu", giovani adulti che trascorsero la prima parte dell'infanzia negli orfanotrofi sovraffollati e fatiscenti della Romania durante il regime comunista di Nicolae Ceauşescu (1966-1989). La ricerca è stata pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences. FIGLI PER LA PATRIA. Fedele al dogma che vedeva nella crescita della popolazione un volano per lo sviluppo economico, nel 1966 Ceaușescu mise fuori legge l'aborto per le donne sotto i 42 anni che avessero meno di quattro figli. Evitare attivamente di avere figli fu paragonato a un atto di diserzione; la contraccezione fu ostacolata e i divorzi divennero sempre più difficili da ottenere. Chiunque fosse senza prole fu condannato a pagare una tassa. La diffusione dell'AIDS crebbe esponenzialmente, così come il numero dei bambini non riconosciuti e abbandonati negli orfanotrofi. Le condizioni di queste strutture, con luce e riscaldamento intermittenti, malattie non curate, scarsità di cibo e bisogni emozionali semplicemente ignorati, emersero solo alla caduta del regime.EFFETTI PERSISTENTI. Secondo alcune stime furono almeno 100 mila i bambini costretti a trascorrere mesi o anni in queste condizioni. Studi precedenti si erano concentrati sulle loro difficoltà cognitive (in parte superate con l'età adulta) come sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ansia e depressione. Un gruppo di scienziati del King's College London ha ora analizzato le scansioni cerebrali di 67 orfani della Romania di allora adottati da famiglie britanniche dopo aver trascorso dai 3 ai 41 mesi in gravi condizioni di abbandono e privazione dei diritti fondamentali nelle strutture descritte. Gli esami di imaging cerebrale dei ragazzi di età compresa tra i 23 e i 28 anni sono stati confrontati con quelli di 21 coetanei adottati all'interno del Regno Unito entro i sei mesi di età . I giovani del primo gruppo mostravano un volume cerebrale dell'8,6% inferiore rispetto a quelli del secondo gruppo. Ogni mese in più trascorso in condizioni di deprivazione estrema era collegato a una riduzione ulteriore di volume cerebrale di 3 cm cubi, un fenomeno che potrebbe spiegare parte dei disturbi cognitivi riscontrati negli studi passati.DIFFERENZE ULTERIORI. Il dato forse più sorprendente è la durata di questo fenomeno nel tempo, nonostante le cure e le attenzioni ricevute dalle famiglie adottive: un fatto che mostra i limiti della neuroplasticità , che pure è particolarmente spiccata in età giovanile, nonché l'importanza che il contesto di crescita ricopre per i bambini. Oltre alla riduzione generale del volume del cervello, primo e secondo gruppo hanno mostrato differenze strutturali in tre regioni cerebrali, collegate all'organizzazione, alla motivazione e all'integrazione tra informazioni e memoria. Il team è inoltre rimasto sorpreso di non aver trovato differenze sostanziali nell'amigdala, una struttura coinvolta nell'elaborazione delle emozioni. UN NESSO SEMPRE PIÙ CHIARO. Anche se lo studio non può provare con certezza che la deprivazione dei bisogni fondamentali durante l'infanzia porti a una riduzione del volume cerebrale, ciò è comunque assai probabile: meccanismi come l'assenza di esperienze fondamentali per lo sviluppo cerebrale o lo stress cronico potrebbero in parte spiegare questa
Luisa Cascarano