Si chiama Fetta di polenta ed è l’edificio più strano di Torino
La fetta di polenta è l’edificio più bizzarro di Torino: forma e colore ne hanno consacrato il simpatico soprannome
Non stiamo parlando di cibo, anche se il filone ispirazionale proviene proprio dalla cucina piemontese, ma di Casa Scaccabarozzi, conosciuta dai torinesi e non solo, come l’edificio a Fetta di Polenta.
Il palazzo sorge nel caratteristico quartiere di Vanchiglia, all’angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo. La strada, riprende il nome della società dei costruttori che si occuparono di innalzare l’edificio nel 1840. L’architetto del progetto fu Alessandro Antonelli, noto per aver progettato la Mole Antonelliana, che volle mettersi alla prova con la realizzazione di un edificio all’avanguardia.
Casa Scaccabarozzi, fu per l’architetto una vera e propria scommessa: il palazzo ha una bizzarra forma trapezoidale e triangolare molto stretta, sono proprio le allungate dimensioni e il colore scelto ad aver suggerito quello che oggi è il nomignolo caratteristico della struttura.
In passato, l’edificio fu noto anche come casa luna e la spada, le motivazioni, sono da trovare sempre nella sua forma stretta e allungata.
Fetta di Polenta, è un edificio alto 24 metri e costituito da 9 piani: i primi tre furono ultimati nel 1840, mentre gli altri furono aggiunti circa quaranta anni dopo. Al palazzo venne dato il nome della moglie di Antonelli, Francesca Scaccabarozzi: i due coniugi abitarono per diversi anni all’interno di uno degli appartamenti dell’edificio.
Casa Scaccabarozzi non fu accolta con troppo entusiasmo dagli abitanti della città, nessuno infatti voleva abitare in quegli appartamenti, temendo il crollo di quel palazzo dalla forma anomala.
Una delle particolarità della struttura è proprio che questa, è leggermente inclinata verso la strada, di circa 34 centimetri, eppure non cade. Le ringhiere dei balconi dell’ultimo piano, sono ribassate e solo a vederle, provocano vertigini.
La paura del passato però, si è trasformata in curiosità e ammirazione per una struttura così bizzarra: oggi l’edificio Scaccabarozzi è diventato una casa galleria, al suo interno si organizzano esposizioni di arte contemporanea.
Fetta di Polenta, è ormai un’icona della città di Torino, un’edificio singolare e affascinante che vale la pena di essere visto, almeno una volta.
Chemioterapia, nuova strategia per evitare la caduta dei capelli
La svolta potrebbe arrivare grazie a un recente studio condotto presso l'Università di Manchester
Sottoporsi alla chemioterapia è pesante per molti motivi. Tra questi, è possibile ricordare la caduta dei capelli, conseguenza che provoca spesso un forte disagio sociale.
Grazie a un recente studio britannico potrebbe però arrivare un’importante svolta in merito. La ricerca in questione, i cui dettagli sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Embo Molecular Medicine, è stata condotta da un team di spiecialisti attivi presso l’Università di Manchester. Gli esperti sono partiti studiando le peculiarità dei taxani, farmaci antitumorali utilizzati soprattutto nelle terapie per debellare il cancro al seno.
Questi presidi chemioterapici agiscono prevenendo la mitosi, ossia la fase del ciclo cellulare che si concretizza con la separazione dei cromatidi fratelli di ciascun cromosoma, facendo in modo che ogni cellula figlia riesca a ricevere la sua porzione di DNA. Dal momento che i farmaci succitati prevengono la mitosi anche nelle cellule sane, si verifica la tanto temuta caduta dei capelli. L’equipe scientifica ha più precisamente scoperto che le cellule staminali alla base della produzione di follicoli piliferi sono tra le più vulnerabili all’azione dei taxani.
Per superare questo quadro, gli studiosi che hanno condotto la ricerca hanno deciso di sfruttare le proprietà dei farmaci CDK4/6 inibitori, in grado anch’essi di bloccare la divisione cellulare. Il Dottor Talveen Purba, autore senior dello studio, ha specificato che questi farmaci agiscono senza provocare effetti tossici a carico del follicolo pilifero.
Purba ha fatto presente che, ogni volta che veniva fatto un bagno in coltura di follicoli piliferi umani in questi presidi chemioterapici, si palesava una sensibilità minore agli effetti dei taxani. Gli esperti che hanno portato avanti questo studio hanno dichiarato che saranno necessari ulteriori accertamenti prima di arrivare all’applicazione della tecnica in ambito clinico. Nello specifico, si suggerisce il passaggio dall’attuale modello ex vivo – situazione in cui si prende un tessuto e lo si testa in un contesto artificiale ma comunque simile a quello fisiologico – all’utilizzo di follicoli del cuoio capelluto xenotrapiantati.
Tra gli obiettivi c’è anche lo sviluppo di approcci finalizzati non solo alla prevenzione della perdita dei capelli, ma anche alla promozione della rigenerazione dei follicoli piliferi nei pazienti che hanno subito uno dei più odiati effetti collaterali della chemioterapia.
Guadalperal, la “Stonehenge di Spagna” è riemersa dalle acque
Un tesoro inestimabile sommerso per quasi sei lunghi decenni rivive in Estremadura
In Spagna una siccità senza precedenti ha riportato alla luce il così detto tesoro di Guadalperal, uno dei più grandi e meravigliosi monumenti megalitici della penisola iberica, rimasto sommerso per quasi sei lunghi decenni.
E non per scelte naturali, bensì nascosto sotto le acque del bacino di Valdecañas voluto durante il regime di Franco, il dittatore che desiderava passare alla storia per le grandi opere idrauliche. Gli abitanti di Peraleda de la Mata (Cáceres) avevano sentito parlare di una serie di pietre antiche a pochi chilometri da casa loro, ma non hanno mai avuto l’opportunità di vedere il tesoro immenso che esiste al loro fianco.
Definito da molti la Stonehenge spagnola, è un complesso funerario databile tra il 4.000 e il 2.500 a.C., di 114 pietre con camera ovale di cinque metri di diametro e un corridoio di 21 metri di lunghezza, che restituiscono al sito il nome originale, ovvero i Dolmen del Guadalperal, danneggiati circa due millenni fa da soldati romani.
Fonte: raicesdeperaleda.com @Martin
Per avere un’idea di come era il concetto iniziale, bisognerebbe immaginarsi le pietre coperte da un tumulo con un corridoio di accesso alla camera, sempre orientata verso la luce del sole e con una serie di incisioni lungo il percorso: l’antenato insomma delle case funerarie odierne.
In un menhir alto circa due metri vi sono scolpiti un serpente e diverse tazze e secondo l’antica tradizione romana, erano simboli di protezione; su un’altra delle pietre del complesso, invece, si trova una linea sinuosa che sembra essere uno dei primi cenni riguardo alle mappe della cartografia europea: potrebbe corrispondere, secondo Ángel Castaño, presidente dell’associazione culturale Raíces de Paralêda, di Peraleda de la Mata, ai meandri del fiume Tago.
Il Tago è una delle principali frontiere naturali che dividono la penisola iberica in due ed è quasi impossibile da attraversare nella zona dell’Estremadura, ma accessibile in questo luogo riaffiorato dall’acqua.
Proprio questa associazione, ha lanciato un appello online per la salvaguardia del posto, prima che venga nuovamente coperto dalle acque: “Le pietre sono di granito, sono molto porose e si crepano”, spiega Castaño. “Per sollevare un monumento e spostarlo è necessario un rapporto archeologico ben documentato, così come sono necessari studi corrispondenti per assicurare che il trasferimento dei pezzi non comporti rotture o danneggiamenti”, aggiunge Bueno Ramírez, professore di Preistoria Primitiva, il quale specifica che è necessaria una documentazione 3D prima di prendere una misura di questo tipo.
Nonostante sembra non vi sia nessun interesse da parte delle autorità, è partita la corsa alla salvaguardia di questi tesori sparsi nella penisola spagnola: il patrimonio megalitico del paese si espande nell’intera area sudoccidentale. Si conoscono dolmen sommersi in altri bacini come Guadancil, a pochi chilometri da Guadalperal.
Una corsa contro il tempo, prima che la storia venga definitivamente distrutta dall’incuria nazionale.