Luisa Cascarano
Quasi tutta la plastica che finisce negli oceani si dissolve con la luce del sole (ma non è una buona notizia) Plastica eterna? In realtà forse no, ma è tutt’altro che una buona notizia. Da uno studio condotto dalla Florida Atlantic University (Usa) emerge come circa il 98% delle plastiche che arriva negli oceani viene degradata dalla luce solare, scindendosi in parti molto più piccole il cui destino e soprattutto i cui effetti non sono ancora noti (il che non fa stare affatto tranquilli). Contrariamente a quanto si possa pensare, nonostante sia noto un immenso accumulo di materie plastiche in mare, questo rappresenta appena l’1-2% degli input di detriti di plastica nei mari: cosa accada al restante 98% e soprattutto l’impatto sulla vita marina resta in gran parte un mistero. I ricercatori hanno selezionato polimeri plastici che si trovano più di frequente sulla superficie dell’oceano e li hanno irradiati per circa due mesi usando un sistema di simulatore solare, registrando la cinetica di dissoluzione della plastica, e hanno poi valutato la fotodegradazione fisica e chimica di queste materie analizzando i campioni dopo l’irraggiamento tramite tecniche consolidate. In particolare sono state analizzate microplastiche post-consumo da materie plastiche come una bottiglia di shampoo e un porta pranzo usa e getta (fatto di polietilene, polipropilene e polistirene espanso), nonché polietilene standard e frammenti di plastica raccolti dalle acque superficiali di una zona dell’Oceano Pacifico: un totale di 480 pezzi di ciascun tipo di polimero sono stati scelti a caso, pesati e divisi in due gruppi. Con risultati sorprendenti: la luce solare simulata ha aumentato la quantità di carbonio disciolto nell’acqua e frammentato anche le particelle più piccole, modificandone la struttura chimica. Inoltre ha spezzettato, ossidato e alterato il colore dei polimeri irradiati La velocità di queste reazioni dipende dalla plastica di partenza: le materie plastiche riciclate si sono degradate più rapidamente del polipropilene, tipico degli imballaggi dei prodotti di consumo, e del polietilene di cui sono fatti sacchetti di plastica, pellicole e contenitori, inclusi i flaconi. Effettuando un’estrapolazione, ovvero ipotizzando un andamento “regolare” (lineare) della velocità di degradazione, i ricercatori hanno calcolato che in condizioni reali le materie plastiche riciclate impiegano 2,7 anni a degradarsi, il polipropilene 4,3, il polietilene 33 mentre il polietilene standard usato per cassette, vassoi, bottiglie di latte, succhi di frutta e tappi per imballaggi alimentari ne impiega 49. “Per le microplastiche più fotoreattive come il polistirene espanso e il polipropilene la luce solare può rimuovere rapidamente questi polimeri dalle acque oceaniche – spiega Shiye Zhao, autore senior del lavoro – Altre microplastiche meno fotodegradabili come il polietilene potrebbero richiedere decenni o secoli per degradarsi anche se rimangono sulla superficie del mare. Inoltre, quando queste materie si dissolvono in mare, rilasciano composti organici biologicamente attivi, che vengono misurati come carbonio organico disciolto, un sottoprodotto importante della degradazione plastica indotta dalla luce solare”. Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Il problema è capire in cosa. “La possibilità che la plastica rilasci composti bio-inibitori durante la fotodegradazione nell’oceano potrebbe influire sulla produttività e sulla struttura della comunità microbica, con conseguenze sconosciute per la biogeochimica e l’ecologia dell’oceano – avverte Zhao – Uno dei quattro polimeri nel nostro studio ha avuto un effetto negativo sui batteri”. Sono necessari ulteriori ricerche per determinare se il rilascio di questi composti sia un fenomeno comune o raro, precisano i ricercatori, ma lo studio, di per sé, mette un nuovo allarme sull’utilizzo massivo delle materie plastiche, già note per causare danni ambientali enormi.
Luisa Cascarano
Anche Heineken abbandona gli anelli in plastica per le birre in lattina Dopo Carlsberg e Corona anche Heineken UK dice addio agli anelli di plastica per le lattine di birra. L’idea è di sostituirli con cartone sostenibile totalmente riciclabile, ma anche robusto e facile da impugnare. Parlandone in esclusiva con ITV News, l’azienda ha dichiarato che la sostituzione avverrà entro la fine del 2021 riducendo così di circa 517 tonnellate la produzione di rifiuti in plastica annuali. Nello specifico il cartone riciclabile verrà utilizzato nelle lattine multi-pack Heineken, Foster e Kronenbourg a partire da aprile 2020 in tutto il Regno Unito. Seguiranno tutti i marchi Heineken in lattine multi-pack, tra cui Strongbow, Bulmer’s e John Smith alla fine del 2021. Cindy Tervoort, direttore marketing di Heineken UK, ha spiegato a ITV News che ci è voluto un po’ di tempo per cambiare rotta ma questo è dipeso dal fatto che l’azienda voleva garantire che tutto il materiale utilizzato fosse riciclabile e di provenienza sostenibile, senza per questo rinunciare alla comodità del trasporto per la clientela. Che è infatti garantito da uno speciale foro per le dita. Questa decisione rientra nella strategia di Heineken che prende il nome di “Brewing a Better World“, il cui scopo è puntare proprio sulla sostenibilità. L’obiettivo è ridurre le emissioni totali di carbonio delle proprie imprese dell’80% entro il 2030 e in generale contribuire a un’economia più sostenibile su diversi fronti: proteggendo le risorse idriche, sensibilizzando le persone verso un consumo responsabile, collaborando in modo equo con le comunità coinvolte. Heineken, come dicevamo, non è l’unica azienda ad aver deciso di abbandonare la plastica: a parte la già citata Carlsberg, la birra Corona già da tempo ha detto addio agli imballaggi in questo materiale e la Saltwater Brewery, azienda di birra artigianale a Delray Beach, ha trasformato gli anelli di plastica in anelli commestibili. Mentre Cerveza Patagonia, il più grande birrificio artigianale argentino, ha adottato una versione ecologica della propria confezione da sei unità realizzandola con carta da piantare. Per fortuna anche la birra diventa sempre più sostenibile!
Luisa Cascarano