Luisa Cascarano

Luisa Cascarano

IL PIOMBO NEGLI ALIMENTI Tra le problematiche più comuni legate alla sicurezza alimentare figurano le intossicazioni croniche da metalli pesanti. I residui metallici possono entrare nell’organismo attraverso varie vie, come quella respiratoria o quella alimentare, e hanno la particolarità di accumularsi nel corpo senza potere essere espulsi in alcun modo. Nel lungo periodo, la loro presenza può portare allo sviluppo di patologie croniche di vario tipo. Tra i metalli pesanti che costituiscono uno dei rischi più concreti per l’organismo e che si può trovare all’interno degli alimenti c’è il piombo. Il problema ambientale del piombo L’intossicazione da piombo o saturnismo (dal fatto che nel medioevo il metallo era correlato al dio romano Saturno) è ben conosciuta fin dall’antichità, quando il piombo veniva utilizzato per diversi processi, tra cui la produzione degli utensili; esso veniva inoltre utilizzato per produrre i colori (e per questo molti pittori rimanevano intossicati) e anche nelle attività alimentari ove l’alcool veniva distillato in tubi e contenitori di piombo e il metallo vi si disperdeva. Il piombo è un metallo molto diffuso soprattutto per il suo basso punto di fusione che permette, anche con una fiamma non particolarmente alta, di lavorarlo con sufficiente facilità. Oggi viene principalmente utilizzato in diversi ambiti, tra cui quello delle saldature (in combinazione con lo stagno), nella produzione di munizioni ed esplosivi, di batterie, di vernici, di smalti e di ceramiche. Alcune normative hanno limitato nel tempo l’utilizzo del piombo nelle industrie, ma i danni causati dalla dispersione del metallo nell’ambiente negli anni passati si avvertono ancora oggi come pure a causa dell’utilizzo di benzina con piombo che è stata vietata solo a partire dal 2000.Il piombo può arrivare negli alimenti con una variabilità di fonti decisamente più elevata rispetto ad altri metalli pesanti come il cadmio e il mercurio. Uno dei modi con cui il piombo arriva sulle tavole è l’acqua. Nonostante esistano dei limiti precisi e le costanti verifiche del Servizio Sanitario Nazionale, le falde acquifere risultano spesso inquinate dal metallo, perché il piombo che si trovava nell’aria si è depositato nel terreno per poi penetrarvi. Al piombo aereo, comunque limitato, si è aggiunto il piombo nell’ambiente arrivato con gli sversamenti industriali. In diversi paesi del mondo, comprese alcune aree italiane, inoltre, le condutture sono ancora (in parte) in piombo e questo contribuisce alla dispersione del metallo nelle acque.Il metallo può essere assorbito dalle piante, che possono assorbire anche il piombo contenuto negli agrofarmaci (insetticidi, pesticidi), oggi molto limitati ma che sono stati utilizzati per lungo tempo. I prodotti di derivazione vegetale, come il vino, possono contenerlo. Lo può inoltre contenere il tabacco, e infatti le sigarette sono una delle fonti principali di piombo che viene assorbito dalle vie respiratorie (ma non da quelle digerenti). Anche gli animali, e gli alimenti di origine animale, sono interessati dalla presenza di piombo. Più esposti sono gli animali carnivori, e soprattutto gli organi, come il cervello e il fegato, che fisiologicamente accumulano il metallo. Non sono organi consumati troppo spesso dall’uomo, ma limitarne ulteriormente il consumo può contribuire notevolmente a ridurre l’ingestione di questo metallo. I prodotti ittici possono contenere quantitativi considerevoli di piombo, che arriva in mare attraverso le falde. Ad essere particolarmente interessati sono i molluschi, sia i cefalopodi (polpo, seppie, calamari) che, i bivalvi, molluschi filtratori come le cozze. Il fatto che questi animali “filtrino”, causa un accumulo importante del metallo all’interno del loro organismo, una concentrazione che è tanto più alta quanto più alta è la vita del mollusco stesso, durante la quale ha continuato sempre ad accumulare il metallo. Considerando che il piombo tende a rimanere in acqua per molto tempo, è più facile che le zone di pesca vicino alle foci dei fiumi siano quelle piu inquinate

Luisa Cascarano

IL BURRO Il burro è uno dei prodotti lattiero-caseari, o derivati del latte, maggiormente utilizzati nell’alimentazione. In alcune regioni, in particolare quelle del Nord Italia, per secoli è stato l’alimento grasso principale, soprattutto a causa della mancanza delle olive dalle quali produrre l’olio. Il burro: cos’è e come si produce Il burro rappresenta essenzialmente la parte grassa del latte, separata dalla maggior parte delle proteine, degli zuccheri e dell’acqua presenti nel prodotto. Chimicamente è un’emulsione, solida a temperatura ambiente, di (molto) grasso, (pochi) zuccheri ed acqua. Per legge, se viene chiamato burro senza ulteriori specifiche è sempre un derivato di latte bovino, e non può contenere alcun tipo di grasso aggiunto (né animale, né vegetale) oltre a non poter contenere alcun additivo. Si può però anche produrre burro a partire da grassi diversi da quello della vacca; uno dei più celebri è il burro di bufala. All’estero il burro viene prodotto con metodi diversi, spesso a bassa temperatura (che restituisce una qualità migliore del prodotto) ed è permesso anche aggiungere il sale come additivo, ottenendo così il burro salato.Secondo la normativa europea attualmente in vigore in Italia (2017), il “burro” deve contenere almeno l’80% di grassi, ma in quantità inferiore al 90%; l’acqua deve essere al massimo il 16%, mentre i residui secchi non devono superare il 2%. La rimanente componente sono gli zuccheri e le proteine presenti nel latte di partenza.Il metodo di produzione del burro può variare in base alle necessità aziendali e alla tipologia di prodotto che si vuole ottenere, ma il processo chimico di base è sempre lo stesso. All’incirca, da 100 litri di latte si riescono a produrre circa 4-5 litri di burro. • La prima fase di produzione del burro è l’estrazione della panna (detta anche crema di latte) dal latte di partenza. Questa fase è essenziale per separare la componente grassa, che è alla base del burro, dalla componente acquosa del latte. I metodi di produzione della panna possono essere diversi. • La seconda fase è la cristallizzazione della crema di latte, essenziale perché il burro possa poi essere solido. Questa fase, secondo il metodo di produzione, può essere preceduta da una pastorizzazione, che serve ad abbattere la carica batterica che si è formata nella panna durante il processo di affioramento, oppure può essere effettuata senza che la crema di latte abbia mai una temperatura superiore a 6 gradi. In questo modo la carica batterica non ha possibilità di svilupparsi. • Successivamente vengono aggiunti alla crema di latte delle colture batteriche specifiche, che hanno lo scopo di fermentare il burro, durante un periodo di riposo. I batteri servono a fornire al burro un aroma che dipende dalle colture utilizzate. Questo processo è utilizzato nella produzione industriale, ma non in quella casalinga (il burro si può produrre anche in casa). Tra i batteri che possono essere inseriti nel burro in questa fase vi è il Lactococcus lactis, che si nutre di lattosio per permettere la formazione dell’acido lattico. • Il burro subisce quindi l’operazione di zangolatura, che è un forte sbattimento dell’intera massa. Questo processo meccanico ha lo scopo di far unire le piccole particelle di grasso tra loro, eliminando l’acqua che si interpone tra l’una e l’altra. In questo modo si formerà una massa grassa che è il burro finito, mentre uscirà l’acqua in eccesso con alcune proteine idrosolubili. La parte di scarto viene chiamata latticello. • Il burro a questo punto ha una consistenza granulosa: viene così impastato fino ad avere una consistenza omogenea, che poi viene tagliata ed impacchettata a formare i “panetti” di burro. In Italia qualunque burro che rispetti le caratteristiche definite dal Reg. CE 1308/2013 può legittimamente essere definito “burro”, mentre le differenze nella qualità si possono indicare, ma sono facoltative (a differenza di quanto accade in alcuni stati esteri).

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