Gli anelli degli alberi svelano un mistero di 1.200 anni fa
Gli anelli degli alberi, usati per studiare il clima e datare eventi globali, dimostrano che circa 1.200 anni fa due grandi esplosioni solari hanno colpito la Terra.
La scienza della dendrocronologia studia come gli anelli di crescita degli alberi, che possono distinguere i singoli anni, sono usati per datare gli avvenimenti storici, basandosi sul contenuto di carbonio 14 (C14, un isotopo radioattivo del carbonio) dei singoli anelli e confrontando il valore con altri dati in altri luoghi e tempi. Il C14 è di solito piuttosto raro, ma in particolari occasioni (eruzioni vulcaniche, potenti emissioni solari) l’atmosfera ne contiene una quantità maggiore, che lasciano tracce negli anelli degli alberi, assorbita dai vegetali quando fanno la fotosintesi.
DECINE DI AUTORI. Finora è stato piuttosto complesso avere dati da tutto il pianeta, perché era complicato “sincronizzare” le analisi su alberi di epoche diverse in varie parti del mondo. Una collaborazione internazionale, chiamata COSMIC, ha raccolto campioni di legni dalla maggioranza di reperti storici di alberi delle zone temperate: travi, altri materiali da costruzione, alberi fossili eccetera.
L’articolo, pubblicato su Nature communication (qui il link dell’articolo originale), copre periodi che vanno dal 770 al 780 d.C. e dal 990 al 1000 d.C. Nell’elenco dei numerosissimi autori ci sono anche due italiani: Mauro Bernabei dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ivalsa) di San Michele all’Adige (Tn) e Marco Carrer dell’Università di Padova.
10 alberi "alieni" che crescono sulla Terra
ANALISI GLOBALE. Le specie esaminate sono 27 (25 conifere e 2 angiosperme) su territori che vanno da 40 a 4.000 metri s.l.m. I periodi sono stati scelti perché si era notato tempo fa uno strano picco di C14 negli anni intorno al 774 e al 993 d.C. Lo studio ha confermato la presenza di questi picchi praticamente in tutto il mondo, almeno nelle zone temperate di entrambi gli emisferi del pianeta.
IL SOLE ESPLODE. Perché ci siano stati questi picchi di C14 è rimasto a lungo un mistero, e si era incolpata l’attività vulcanica. Ma il fatto che abbiano influenzato praticamente tutto il pianeta suggerisce ai ricercatori che sia invece stato "un grande rilascio di energia dal Sole": un’intensa attività solare che ha probabilmente causato anche le aurore rosse registrate dalle cronache in Corea, Germania e Irlanda nel 993.
La radioattività della Foresta Rossa di Chernobyl
Una flotta di droni ha mappato la pineta nella zona di esclusione con un dettaglio non possibile per aeroplani ed elicotteri, evidenziando focolai di radioattività finora sconosciuti.
La Foresta Rossa, una zona boschiva un tempo costituita da due chilometri di pini silvestri, comincia a soli 500 metri dall'ex complesso nucleare di Chernobyl. Dopo il disastro del 1986, fu una delle aree più colpite dalla ricaduta di materiale radioattivo causato dall'esplosione del reattore numero 4: molte piante cambiarono colore (diventarono arancioni) e morirono, e vaste aree del bosco sono ancora oggi del tutto interdette all'uomo.
La lenta trasformazione di Chernobyl
DALL'ALTO. Ora questa parte della zona di esclusione (l'area nel raggio di 30 km dal sito) è stata sorvolata da una flotta di droni, che hanno misurato i livelli di radioattività anche nelle aree di norma inaccessibili. La ricerca condotta ad aprile dai velivoli del National Centre for Nuclear Robotics (NCNR) dell'Università di Bristol (Regno Unito) ha confermato l'attuale quadro della distribuzione di radiazioni nella foresta, ma anche svelato alcuni focolai di radioattività rimasti finora nascosti.
SPECIALIZZATI. In un arco di 10 giorni i droni si sono alzati in volo oltre 50 volte, mappando 15 km quadrati di foresta. I droni ad ala fissa (il cui meccanismo di volo è simile a quello di piccoli aerei) hanno permesso di stendere una mappa globale delle radiazioni volando a 65 km orari sopra la cima degli alberi. Le zone di maggiore interesse sono state poi indagate una seconda volta con droni-elicottero, che possono rimanere fermi al di sopra di una specifica posizione per acquisire dati e immagini in 3D ad alta risoluzione.
I sensori LIDAR hanno catturato immagini tridimensionali del suolo, mentre gli spettrometri gamma hanno cercato tracce di decadimento radioattivo. La Foresta Rossa era già nota per essere l'area naturale a più alta contaminazione della Terra, ma le rilevazioni hanno mostrato che la radioattività non è omogenea: in alcune zone è col tempo diminuita, mentre altre la trattengono come serbatoi.
SPUGNA PER RADIAZIONI. Uno di questi hotspot radioattivi è stato trovato nelle rovine di una struttura impiegata per la separazione del suolo contaminato, nei primi tempi utilizzata per inutili tentativi di bonifica. La radiazione emessa dalla terra e dalle macerie nell'edificio abbandonato è talmente alta che poche ore al suo interno esporrebbero una persona alla quantità di radiazioni che normalmente si assumono in un anno. Nella foresta sono anche stati identificati radioisotopi che hanno un'emivita (il tempo che occorre affinché la radioattività si dimezzi) molto lunga: sono cioè destinati a contaminare la zona ancora per lungo tempo.
UNA MAPPA DEL RISCHIO. Conoscere la risposta delle diverse aree di foresta a un passato di contaminazione radioattiva è fondamentale per i futuri tentativi di recupero di parte del territorio. Ma nessuno si nasconde che occorreranno decine di migliaia di anni per far tornare l'area di nuovo pienamente abitabile.
Rane golia: per costruire i loro nidi si fanno muscoli giganti
Un nuovo studio dimostra che a favorire le dimensioni eccezionali della Conraua goliath (la rana golia, uno degli anfibi più grandi del Pianeta) è l'abitudine di spostare sassi pesantissimi per costruire i suoi nidi.
Un corpo da 30 centimetri di lunghezza (ma che con le zampe estese arriva anche a 70 cm!) per tre chili di peso: numeri che non fanno impressione, almeno fino a quando non si scopre che sono relativi a una rana. È la più grossa del mondo: si chiama rana golia (Conraua goliath) ed è uno degli anfibi meno conosciuti del Pianeta – “colpa” della sua timidezza e della difficoltà di osservarla nel suo habitat naturale, le rive dei fiumi in Camerun e Guinea Equatoriale.
UNA POSSIBILE SPIEGAZIONE. Quest’estate, però, un team del Leibniz Institute for Evolutionary and Biodiversity Research di Berlino è riuscito per la prima volta a osservarla da vicino. Facendo una scoperta sorprendente, che potrebbe spiegare anche le dimensioni esagerate dell’animale: i suoi nidi sono vere e proprie opere di architettura del paesaggio, stagni artificiali creati spostando massi di dimensioni considerevoli.
In origine, la ricerca doveva occuparsi di tutt’altro: la rana golia è a rischio di estinzione, e i ricercatori speravano di scoprire qualcosa di più sulla dieta dei suoi girini nel caso in cui dovesse diventare necessario allevare questa specie in cattività. È così che, usando fototrappole e telecamere nascoste e confrontandosi anche con i locali cacciatori di anfibi, il team ha scoperto che la golia non depone le uova nella prima pozza d’acqua che trova, ma costruisce il suo stagno artificiale
TRE DIVERSE STRATEGIE. Questi anfibi hanno addirittura sviluppato tre stili architettonici. I maschi più pigri si limitano a individuare pozze già esistenti e le ristrutturano, pulendole ed eliminando foglie e altri i detriti così da migliorare la visibilità e rendere più facile fare la guardia contro i predatori. Ci sono poi maschi che accumulano sassi e fango ai margini di un piccolo stagno, erigendo una diga che allarga lo specchio d’acqua e lo protegge anche dalla corrente del fiume. Infine, i maschi più creativi creano da zero le loro piscine, scavando nel greto fino a far affiorare l’acqua e poi consolidando la piscina artificiale circondandola di massi raccolti in zona – e che possono pesare fino a due chili.
Le capacità architettoniche delle rane golia hanno dimostrato due cose agli scienziati. La prima è che sono genitori protettivi, che dedicano tempo, energie e creatività a controllare la propria progenie e difenderla dai predatori. La seconda è che le dimensioni estreme dell’animale - è il secondo anfibio più grande del mondo dopo la salamandra del Giappone - potrebbero essere una conseguenza evolutiva delle loro abitudini: una rana più muscolosa riesce a trasportare sassi più grossi, e dunque a costruire un nido migliore.