Luisa Cascarano

Come piantare il limone in una tazza per profumare e decorare la vostra casa Il limone è un frutto colorato, sano, ricco di proprietà e anche particolarmente profumato. Il suo aroma caratteristico è in grado non solo di eliminare sgradevoli odori come quello di cucinato, di umido, ecc. ma anche di migliorare il nostro umore. Se non avete spazio per tenere una pianta di limone in casa perché magari nella vostra abitazione non c’è un balcone o un terrazzo e neppure un giardino, potete scegliere comunque di avere la vostra piccola ma profumatissima piantina di limone. Come? Seminandolo e coltivandolo in una semplicissima tazza. Come piantare il limone in una tazza Questi i passaggi fondamentali da seguire: Rimuovere i semi di circa 5-10 limoni. Assicuratevi che siano completi, ossia né rotti né tagliati o rovinati, metteteli poi in un bicchiere di acqua pulita per idratarli (devono rimanere a bagno per circa un’ora). Osserva quali semi affondano e quali galleggiano. Quelli che vanno sul fondo della tazza sono quelli “buoni” da utilizzare. Scolare i semi e rimuovere l’acqua in eccesso utilizzando un tovagliolo di carta. Usa una pinzetta per togliere la pelle intorno al semino (questo favorisce la germinazione) Riemettere i semini in un po ‘d’acqua aspettando che germinino (questo passaggio potrebbe richiedere un paio di giorni) Mettere della terra umida (ma non eccessivamente) sulla base della tazza Disporre i semi in forma circolare (anche in più cerchi concentrici), coprendo la maggior parte della terra Coprire la tazza con dei sassi piccoli o della ghiaia Dopo 9-15 giorni vedrai spuntare le prime piantine. A questo punto innaffiale ogni mattina In ultimo bisogna fare in modo che le piantine non si intralcino tra di loro, altrimenti rischiano di morire. Quando hanno raggiunto una certa altezza, potete trapiantarle insieme dandogli più spazio in una pentola oppure separarle in piccoli vasi. La crescita del limone è lenta, ci vorranno dai 6 ai 7 mesi per veder crescere una pianta di una certa altezza. Fino a quel momento godetevi il vostro limone in tazza!

Luisa Cascarano

Come usare il bicarbonato di sodio come fungicida per le piante Il bicarbonato di sodio è un prodotto davvero versatile che dovremmo avere sempre in casa. Utile non solo in cucina ma anche in bagno oltre che sul balcone o in giardino. Avete mai provato ad utilizzarlo ad esempio come fungicida per le piante? Quella polvere fine di sale bianco, nota come bicarbonato di sodio e comunemente venduta in tutti i supermercati, viene usata soprattutto per lavare la verdura, igienizzare le superfici ma anche per trattare l’indigestione o il bruciore di stomaco grazie alla sua azione alcalinizzante. Sono davvero tanti gli usi del bicarbonato di sodio ma pochi sanno che può tornare utile anche in agricoltura come fungicida grazie al suo potere disinfettante che previene ed elimina la presenza di diverse specie di funghi che attaccano comunemente le piante. Ciò è dovuto anche al suo effetto alcalinizzante che fa sì che non si crei quell’ambiente favorevole alla proliferazione dei funghi che, come è noto, amano invece ambienti acidi. In particolare il bicarbonato di sodio agisce come fungicida naturale su: Muffa grigia (Botrytis cinerea): si manifesta con la formazione di una massa di cotonina da marrone a grigia che porta al decadimento di fiori, frutti e tessuti teneri delle piante. Questo fungo spesso attacca fragole, broccoli e, come piante ornamentali, le rose. Rhizoctonia solani: si manifesta con danni o lesioni alla base del fusto (colletto della pianta) quando questo è morbido causandone la rottura e di conseguenza la morte della pianta. Abbastanza comune in fagioli, peperoncino, spinaci, patate e pomodori. Funghi Ascomycota: questi provocano il famoso oidio, detto anche mal bianco, nebbia o albugine, una malattia che colpisce diversi tipi di piante: vite, bietole, carciofi, pomodori, ecc. Si può usare questo ingrediente naturale anche per la prevenzione e il trattamento della peronospora, una malattia delle piante causata da diverse famiglie di funghi.

Luisa Cascarano

Chernobyl: gli animali si sono geneticamente ‘automodificati’ Era il 1986 quando il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl subì un’esplosione durante un test tecnico. Da allora, la cosiddetta “zona di alienazione” (compresa in un raggio di 30 chilometri), completamente interdetta a qualsiasi forma di attività civile o commerciale, è diventata l’habitat di un discreto numero di specie animali. Tutti geneticamente modificati. A discapito di quanto allora si pensò, infatti, ossia che i tempi di dissolvimento delle radiazioni e gli effetti sull’ambiente sarebbero durati secoli rendendo impossibile ogni forma di vita, quella grande area off limits compresa tra Ucraina e Bielorussia è divenuta in realtà, in questi 33 anni, il rifugio di cani, gatti, volpi, orsi bruni, bisonti, lupi, linci, cavalli, pesci e oltre 200 specie di uccelli. Se, insomma, come conseguenza dell’incidente nell’allora Unione Sovietica venne emessa una quantità di radiazioni 400 volte superiore di quella emessa dalla bomba atomica lasciata cadere su Hiroshima (Giappone) nel 1945, era chiaro ipotizzare che l’area sarebbe diventata un deserto privo di fauna selvatica per secoli. Pare non sia così, come mai? Un gruppo di 30 ricercatori provenienti da Regno Unito, Irlanda, Francia, Belgio, Norvegia, Spagna e Ucraina ha presentato i risultati di uno studio su grandi mammiferi, uccelli nidificanti, anfibi, pesci, bombi, lombrichi e batteri dimostrando che attualmente l’area ospita una grande biodiversità. Inoltre, hanno confermato la generale mancanza di grandi effetti negativi degli attuali livelli di radiazioni sulle popolazioni animali e vegetali che vivono a Chernobyl, dal momento che tutti i gruppi studiati mantengono popolazioni stabili e vitali all’interno della zona di esclusione. Un chiaro esempio della diversità della fauna selvatica nella zona è dato dal progetto TREE (TRansfer-Exposure-Effects, diretto da Nick Beresford del Centro per l’ecologia e l’idrologia del Regno Unito), grazie al quale alcune telecamere di rilevamento del movimento sono state installate per diversi anni in alcune aree della zona di esclusione. Le foto riprese da queste telecamere rivelano la presenza di una fauna abbondante a tutti i livelli di radiazioni, compresi orsi bruni e bisonti europei all’interno della zona ucraina e un numero cospicuo di lupi e cavalli Przewalski. Gli animali si sono geneticamente automodificati Ma c’è un ma: gli studiosi hanno anche trovato segni che potrebbero rappresentare risposte adattative alla vita con radiazioni. Gli animali, in pratica, si sono automodificati. Per esempio, le rane nella zona di esclusione sono più scure delle rane che vivono al di fuori di essa, il che potrebbe essere una possibile difesa contro le radiazioni. Così come alcuni insetti sembrano avere una vita più breve e sono più colpiti dai parassiti in aree ad alta radiazione. Alcuni uccelli hanno anche livelli più alti di albinismo, oltre ad alterazioni fisiologiche e genetiche quando vivono in località altamente contaminate. Ma questi effetti non sembrano influenzare il mantenimento della popolazione selvatica nella zona.

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