I batteri intestinali che fanno correre più forte
Secondo un recente studio americano alcuni batteri intestinali migliorerebbero sensibilmente le prestazioni atletiche. Facciamo un po' di chiarezza.
Per correre una maratona servono gambe, fiato, testa e... anche intestino? Un team di ricercatori dell'Università di Harvard ha scoperto che, al termine di una gara di resistenza, il miocrobioma intestinale degli atleti è particolarmente ricco di alcuni particolari batteri che, trapiantati nell'intestino dei topi, ne hanno poi migliorato le prestazioni atletiche.
ALLENATI, CHE È MEGLIO. Ma aspettate a rimandare il prossimo allenamento: una formula magica per correre più forte non l'ha ancora inventata nessuno. «Abbiamo solo dimostrato che la composizione della flora intestinale può essere una componente rilevante nella performance fisica», scrivono gli autori dello studio pubblicato su Nature Medicine. Che cosa c'entrano i batteri intestinali con la corsa? Secondo i ricercatori alcune famiglie di microrganismi avrebbero un ruolo nello smaltimento del lattato, una sostanza di scarto prodotta dall'organismo quando, sotto sforzo, e quindi in condizioni di scarsa ossigenazione, utilizza il glucosio per produrre energia. Il lattato è un composto tossico per le cellule e quando si accumula nel torrente ematico è responsabile dell'affaticamento muscolare.
BATTERI MOLTO BUONI. George Church e i suoi colleghi hanno analizzato la flora batterica intestinale di 15 atleti che hanno partecipato alla maratona di Boston e l'hanno confrontata con quella di un gruppo di sedentari. I campioni prelevati nei giorni immediatamente prima della gara, quando il carico di lavoro degli atleti è basso o nullo, non differivano molto tra i due gruppi. Ma nei test effettuati sui runner subito dopo la maratona, la popolazione di batteri del genere Veillonella è risultata particolarmente abbondante. I ricercatori hanno ottenuto risultati simili studiando la flora intestinale di altri 87 atleti prima e dopo l'allenamento.
TOPI DA RECORD. Viste le premesse, il team ha provato ad impiantare la Veillonella nell'intestino di alcuni topi e ha scoperto che questi non solo miglioravano le performance sportive sulla ruota del 13% - cioè correvano più a lungo prima di fermarsi sfiniti - ma riducevano l'incidenza dei processi infiammatori, piuttosto comuni in chi corre su lunghe distanze. Il motivo è risultato evidente quando i ricercatori, tracciando il lattato attraverso il flusso sanguigno e fino all'intestino, hanno appurato che i batteri di Veillonella lo aggrediscono e lo scindono in altri composti non tossici. Il team ha quindi somministrato ai roditori lo ione propionato, un sottoprodotto della scissione del lattato, ottenendo lo stesso effetto positivo sulla resistenza degli animali allo sforzo.
11 LUGLIO 2019 | REBECCA MANTOVANI
Souvenir, come mai piacciono tanto ai turisti
Il Colosseo, la gondola di Venezia, la Torre Eiffel... I souvenir sono tarocchi, retorici, kitsch. Eppure piacciono ancora tanto ai turisti e alimentano un mercato miliardario. Proviamo a capire perché.
Un pezzetto di Colosseo in tasca come souvenir. È stata l'idea di un turista straniero che ha staccato un frammento di laterizio romano da una parete dell'Anfiteatro Flavio, il simbolo di Roma. Iniziative come queste, purtroppo, fanno parte della storia dei viaggi di tanti turisti vandali che visitano i musei e i monumenti dei luoghi più famosi del mondo.
Quando nel 1800, con l’invenzione del battello a vapore e della ferrovia, iniziò l’era del turismo di massa, esplose infatti la mania dei ricordini, con effetti spesso dannosi: frotte di turisti andavano a vedere la roccia di Plymouth, il luogo dove erano sbarcati i Padri Pellegrini, che iniziarono così la colonizzazione e la storia degli Usa.
PEZZETTI DI NATURA. Ogni visitatore, con un martelletto, ne staccava un pezzo: nel 1880 si era ridotta a un terzo delle sue dimensioni originarie. Così i custodi dovettero proteggerla con un cancello. L’abitudine di portare a casa un pezzo di natura è un istinto difficile da controllare, anche oggi: dopo le scorribande dei turisti, nel 2017 la Regione Sardegna ha vietato il prelievo di sabbia, conchiglie e pietre dalle sue spiagge, punendo i trasgressori con multe di 1.000 €.
RICORDINI KITSCH. Per fortuna, ci sono i souvenir "ufficiali". Quelli kitsch e retorici. Gli ultimi sono stati i “Crown Jewels”, i gioielli della Corona: nonostante il nome altisonante e la confezione raffinata (che quando si apre suona l’inno britannico God save the Queen), è una confezione di 4 preservativi. È stata lanciata lo scorso maggio per le nozze fra il principe Harry e Meghan Markle. Non era l’unico souvenir prodotto in occasione del matrimonio reale: si aggiunge alle salsicce “Majestic”, alla birra “Windsor knot” e al bavaglio per cani griffato Harry e Meghan.
Anche se fanno sorridere, questi gadget sono un business maledettamente serio: solo per questo evento, nel Regno Unito hanno alimentato un mercato di 80 milioni di euro. Un affare che non lascia indifferenti neppure le istituzioni: a giugno il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto registrare il marchio dell’Eliseo, da riprodurre su tazze, portachiavi e magneti. Gli introiti serviranno a finanziare il restauro del palazzo presidenziale. I ricordini, infatti, sono un potente motore dell’economia: solo in Italia alimentano un mercato da oltre 700 milioni di euro, che salgono a 14,4 miliardi negli Stati Uniti.
Questo articolo è tratto ed elaborato da un precedente numero di Focus (n.310). Scopri anche il nuovo Focus in edicola (n. 314 - Dicembre 2018).
SACCHEGGI PRIMITIVI. Come si spiega l’attrazione planetaria per oggetti così pacchiani, che spesso, dopo le vacanze, finiscono in soffitta? Comprare i souvenir è un rito tranquillizzante: «Quando si è lontani da casa, fare shopping è un’attività ordinaria in un ambiente straordinario. E il turista si concentra su oggetti e monumenti perché capire le persone è molto più lungo e impegnativo», osserva l’antropologo Duccio Canestrini nel libro Trofei di viaggio (Bollati Boringhieri).
Per i giapponesi il regalo di viaggio (omiyage) è addirittura un obbligo, per scusarsi della propria assenza dai doveri domestici. Tanto che all’aeroporto di Tokyo c’è un negozio di souvenir internazionali (profumi francesi, cioccolato svizzero, whisky scozzese) per i turisti che non sono riusciti a comprarli durante il viaggio.
Lo stress del padrone contagia anche il cane
I cani che vivono con padroni cronicamente stressati finiscono per "allineare" i propri livelli di cortisolo, e dunque di stress, su quelli del loro umano di riferimento.
Lo stress è contagioso e l'osmosi emozionale (cioè la "trasmissione di emozioni") positiva, ma anche negativa, fra individui della stessa specie è dimostrata da numerose ricerche: il topolino di campagna mostra elevati livelli di stress se il suo partner è stressato; studenti che hanno un insegnante in condizione di forte agitazione mostrano maggiori livelli di cortisolo, l'ormone dello stress; la stessa cosa succede tra mamme e figli. Passato il momento "caldo", la situazione torna alla normalità. Ma cosa accade se la condizione stressante permane e si cronicizza? E che cosa succede se a viverla sono un essere umano e il suo cane? È possibile che lo stress si trasferisca da una specie all'altra? La risposta è sì.
PICCHI DI STRESS. Come ha dimostrato uno studio della Linköping University, in Svezia, tra un padrone cronicamente stressato e il proprio cane è facile che si verifichi quella che gli scienziati chiamano "sincronizzazione interspecifica", che innalza i livelli di cortisolo anche nell'animale. Lo stress benefico, o eustress, è una condizione che tutti sperimentiamo nella vita: quando dobbiamo sostenere un esame, prima di un avvenimento importante o durante una gara sportiva. La prova biochimica è data da un picco temporaneo nella saliva e nel sangue dei livelli di cortisolo , un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, che induce aumento della gittata cardiaca e che serve, in quel dato momento, a far fronte a una situazione anomala (risposte del tipo fight or flight, combatti o fuggi).
11 cose che fai e che al tuo cane non piacciono
Se però gli eventi "stressanti" durano troppo, la situazione si cronicizza e un esame del capello - dove il cortisolo in eccesso si accumula - può metterlo in evidenza. Nello studio svedese sono stati esaminati 58 coppie uomo-cane che condividevano la vita quotidiana. Siccome i cani erano border collie e shetland sheepdog, due razze da lavoro, i ricercatori hanno prima escluso che ci fosse un legame fra l'attività normalmente richiesta loro e l'accumulo di cortisolo nel pelo.
NULLA DI STRANO! Poi hanno suddiviso i padroni in tre categorie comportamentali: nevrotici, aperti e consapevoli e hanno valutato le concentrazioni di cortisolo nelle coppie. Indovinate un po'? I padroni più nevrotici avevano cani con livelli più alti di cortisolo. La sincronizzazione era influenzata anche dal sesso: a parità di altre condizioni, le cagnoline mostravano un maggiore livello di risposte emozionali. Lo stesso accade anche fra gli scimpanzé, i ratti e gli esseri umani. In quest'ultimo caso, ipotizzano i ricercatori, il motivo sarebbe legato al diverso ruolo sociale che le femmine rivestono rispetto ai maschi. Ma perché meravigliarsi di questa sincronizzazione emozionale? Dopo tutto uomo e cane, entrambe specie altamente sociali, vivono in stretta associazione da oltre 15 mila anni (se non di più...)!