Luisa Cascarano
Curcuma, potenza terapeutica e casi di epatite La curcuma è un prodotto usato da secoli nella tradizione popolare e negli ultimi decenni è stata oggetto di studi approfonditi che riguardano le sue numerose azioni, che riassumo qui di seguito: - Anti neurodegenerativa (protezione da Parkinson e Alzheimer) - Antiossidante - Antiartritica - Antidepressiva - Protettiva delle cellule Beta-pancreatiche (antidiabetica) - Di supporto nelle malattie autoimmuni - Di supporto nelle forme tumorali del pancreas e del fegato - Di supporto a molte forme di chemioterapia - Antitossica In particolare, nel 2012 l'American Institute of Cancer Research ha dedicato alla curcuma e al suo uso in oncologia una intera sessione del congresso annuale, valorizzandone i moltissimi effetti positivi, anche se poi, nel 2013, lo stesso istituto ha ricordato che la curcuma, come l'aglio o il pepe nero (piperina), richiedono ancora attenzioni e cautele nel loro uso poiché gli effetti sinergici di queste sostanze non erano ancora del tutto noti. Personalmente uso la curcuma come integratore quasi quotidiano da oltre 15 anni, proprio perché la ricerca scientifica ha evidenziato, anno dopo anno, ulteriori effetti positivi su altri distretti corporei. Ho iniziato personalmente a usarla per proteggere “la testa” (vista la professione che faccio) e limitare l'eventuale deriva verso Parkinson e Alzheimer, e ho continuato a usarla per le altre proprietà benefiche che progressivamente la scienza ha identificato. Dal punto di vista terapeutico le sue nuove formulazioni micellari, che ne consentono un uso molto più puntuale e preciso, quasi a livello di farmaco, fanno parte delle mie prescrizioni in gran parte dei casi di malattie autoimmuni, nelle malattie tumorali, nelle condizioni artritiche e in molte malattie infiammatorie. LEGGI ANCHE La curcuma delle meraviglie Si è visto infatti che la curcuma riesce ad agire nell'organismo contrastando l'azione di numerose citochine infiammatorie, come IL6, TNFalfa, BAFF e altri ancora e che è soprattutto un inibitore della trascrizione di un fattore nucleare (NF-kB) coinvolto nella regolazione metabolica e nella regolazione dello sviluppo tumorale. Nel settembre 2018 il BMJ ha descritto uno dei primi casi di epatopatia autoimmune indotta da una preparazione a base di curcuma e nel corso dei mesi successivi ne sono stati descritti numerosi altri casi sia nel mondo sia in Italia (Lukefahr AL et al, BMJ Case Rep. 2018 Sep 10;2018. pii: bcr-2018-224611. doi: 10.1136/bcr-2018-224611). Nel caso in questione, come nella maggior parte degli altri casi descritti, la patologia si è risolta con la sospensione del farmaco stesso, ma questo, pur essendo un aspetto positivo, non deve fare abbassare la guardia e l'attenzione. Il Ministero della Salute italiano mantiene costantemente aggiornato l'elenco delle preparazioni associate alle epatopatie finora descritte e, a parte i 21 casi evidenziati fino al 21 giugno 2018, non sembrano essere stati ad oggi individuati altri casi, nonostante l'attenzione mediatica dedicata al problema. Come si può vedere dall'elenco delle preparazioni, quasi tutte sono dei mix in cui alla curcuma è associata anche la piperina, una sostanza derivata dal pepe nero, usata per facilitare l'assorbimento della curcuma. A tutt'oggi non è infatti stato chiarito se la responsabilità delle epatopatie sia da ascrivere alla curcuma stessa o non piuttosto alla piperina del pepe nero, come appare forse più probabile. I primissimi dubbi si sono puntati su una possibile contaminazione produttiva (poi non provata) e su una possibile qualità scadente dei lotti di partenza. Personalmente, proprio perché i primi lavori epidemiologici che rilevavano un'azione preventiva della curcuma erano legati all'uso alimentare della stessa, senza “stimolazioni” specifiche per favorirne l'ingresso nell'organismo, mi sono sempre astenuto dal prescrivere associazioni con altre sostanze di stimolo all'assorbimento nella stessa formulazione.
Luisa Cascarano
Vitamina B12: tutto quello che c'è da sapere La sola determinazione plasmatica di vitamina B12 è tuttavia un indicatore poco sensibile in quanto i livelli di questa vitamina nel sangue rimangono normali per lungo tempo. Ciò è dovuto al fatto che l'organismo dispone di grandi riserve di cobalamina, soprattutto a livello e epatico e a livello renale. Si stima infatti che i depositi epatici di vitamina B12 possano sostenere il fabbisogno fisiologico per anche 3-5 anni in assenza di assorbimento di questa vitamina. Con concentrazioni minore di 200 ng/L (150 pmol/L) si può parlare di una effettiva carenza di vitamina B12. La vitamina B12 entra in gioco in due importanti reazioni cellulari. La prima riguarda il metabolismo di un aminoacido, la metionina, che se alterato porta a un eccessivo accumulo di omocisteina. La seconda invece riguarda la produzione di energia dai grassi e in particolare degli acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio. Per questo due importanti indicatori di una carenza effettiva di vitamina B12 sono proprio l'omocisteina (il cui metabolismo dipendende però anche dall'acido folico) e l'acido metilmalonico. Valori elevati di questi metaboliti confermano la diagnosi di carenza di vitamina B12. Omocisteina alta: come ridurre il rischio cardiovascolare? Ci sono molto cause alla base di bassi livelli di vitamina B12. Quella che classicamente viene definita "anemia perniciosa" sta a indicare una malattia autoimmune che porta alla distruzione delle cellulare parietali gastriche che producono un fattore, il Fattore Intrinseco per l'appunto, indispensabile per l'assorbimento della cobalamina. Questa condizione può essere verificata con la ricerca di due anticorpi: il primo diretto contro le cellule parietali gastriche, il secondo diretto contro il Fattore Intrinseco stesso. Nonostante questo, l'anemia perniciosa è responsabile solo di un numero ristretto di casi di carenza di Vitamina B12. In molti altri casi è possibile dimostrare una scarsa assunzione o una bassa assimilazione di questa vitamina. La cobalamina è abbondante nei cibi di origine animale come la carne, il pesce, il latte e i latticini; di conseguenza, diete che riducono molto l'assunzione di queste categoria di alimenti possono portare con il tempo a una carenza di Vitamina B12. L'assunzione raccomandata di Vitamina B12 nella popolazione generale cresce con l'età e si attesta, dopo i 15 anni, intorno a 2.4 mcg al dì, senza differenze tra i due sessi, mentre durante la gravidanza e ancora di più durante l'allattamento sono necessari livelli maggior di questa vitamina, rispettivamente di 2.6 e 2.8 mcg al giorno. L'assorbimento della cobalamina è comunque molto complesso e prima di legarsi al Fattore Intrinseco questa vitamina deve essere liberata delle proteine a cui è coniugata, pena il mancato assorbimento. Ecco perché per una corretto assimilazione di questa vitamina è importante che lo stomaco funzioni correttamente: qualunque condizione che alteri il funzionamento gastrico può essere responsabile di un deficit di vitamina B12. L'utilizzo cronico di farmaci come gli antiacidi e gli inibitori di pompa protonica, una gastrite cronica o la presenza di Helicobacter pylori, la resezione completa o parziale dello stomaco stesso e così via possono essere alla base di una carenza di questa vitamina. La carenza di questa vitamina può portare a gravi sintomi ematologici, primo fra tutti un'anemia megaloblastica, sintomi neurologici, come parestesie e alterazioni dell'equilibrio, e sintomi gastrointestinali come glossite, nausea e dolori addominali. Non è necessaria la presenza contemporanea di tutti questi sintomi per porre diagnosi di carenza di vitamina B12. Nel caso fosse diagnosticata una carenza di cobalamina la terapia deve essere concordata con il proprio medico di fiducia e valutata in base alla cause che hanno portato a questo deficit vitaminico.
Luisa Cascarano