Luisa Cascarano
Il ritmo della respirazione influenza la memoria e la paura 3 Settembre 2017 Signorile Stefania La respirazione non serve solo per l’ossigeno ma è inoltre collegata al funzionamento e comportamento cerebrale. Gli scienziati della medicina nord-occidentale hanno scoperto per la prima volta che il ritmo della respirazione crea un’attività elettrica nel cervello umano che esalta le emozioni e il ricordo in memoria. Gli effetti sul comportamento dipendono dal fatto di inspirare o espirare attraverso naso o bocca. Nello studio, gli individui sono stati in grado di identificare maggiormente un volto terribile se inspiravano piuttosto che se espiravano. Inoltre questi avevano maggiore probabilità di ricordare un oggetto se lo incontravano durante una respirazione inspirata piuttosto che espirata. L’effetto invece scompariva se la respirazione passava attraverso la bocca. “Uno dei principali risultati di questo studio è che c’è una significativa differenza nell’attività cerebrale, nell’amigdala e nell’ippocampo, durante l’inspirazione rispetto all’espirazione”, ha dichiarato l’autrice principale Christina Zelano. “Quando respiriamo, abbiamo scoperto che stiamo stimolando i neuroni della corteccia olfattiva, amigdala e ippocampo, in tutto il sistema limbico”. Gli scienziati hanno scoperto queste differenze nell’attività cerebrale durante lo studio di 7 pazienti con epilessia che starebbero stati sottoposti a chirurgia cerebrale. Una settimana prima della chirurgia, il chirurgo ha impiantato degli elettrodi nel cervello di questi pazienti al fine di identificare l’origine della loro crisi. Questo ha consentito di acquisire i dati elettrofisiologici del loro cervello. I segnali elettrici registrati mostravano che l’attività cerebrale oscillava con la respirazione. L’attività si verificava nelle aree cerebrali in cui venivano elaborate emozioni, memoria ed odori. Questa scoperta ha indotto gli scienziati a chiedersi se le funzioni cognitive associate a queste aree del cervello, in particolare la paura e la memoria, possano essere influenzate dalla respirazione. L’amigdala è fortemente legata all’elaborazione emotiva, in particolare alle emozioni di paura. Quindi gli scienziati hanno chiesto a circa 60 persone di prendere decisioni rapide sulle espressioni emozionali, nell’ambiente di laboratorio, durante la registrazione del loro respiro. Presentati con immagini di volti che mostravano espressioni di paura e sorpresa, i soggetti dovevano indicare, quanto prima, quali emozioni venivano espresse. Quando i volti venivano visionati durante l’inspirazione, i soggetti riconoscevano la paura più velocemente che durante l’espirazione. Questo non accadeva per i volti che esprimevano sorpresa. Questi effetti sono diminuiti quando i soggetti hanno eseguito lo stesso compito respirando con la bocca. Quindi l’effetto era specifico e riferito solo alla paura riscontrata durante la respirazione nasale. In un esperimento di valutazione della funzione di memoria, legata all’ippocampo, gli stessi soggetti dovevano ricordare delle immagini dopo averle visualizzate su computer. I ricercatori hanno appurato che il ricordo era migliore durante l’inspirazione. I risultati indicano che la respirazione rapida può conferire vantaggio quando vi sono situazioni di pericolo, afferma Zelano. “Se sei in uno stato di panico, il tuo ritmo respiratorio diventa più veloce”, dice Zelano. “E chiaro che il soggetto passerà più tempo ad inspirare rispetto a quando è calmo”. Così, la risposta innata del nostro corpo alla paura con una respirazione più veloce potrebbe avere un impatto positivo sulla funzione del cervello e provocare tempi di risposta più rapidi a stimoli pericolosi nell’ambiente”. Un’altra potenziale intuizione della ricerca è sui meccanismi di base della meditazione o della respirazione focalizzata. “Quando inspirate, state in un certo senso sincronizzando le oscillazioni cerebrali attraverso la rete libica”, osserva Zelano.
Luisa Cascarano
VOCE E CANTO NELLA VITA PRENATALE. I BAMBINI NELLA PANCIA CI ASCOLTANO! Ciao a tutti amici avete mai pensato quanto sia potente e terapeutica la nostra voce? Ebbene si! 😉 L’elemento sonoro-musicale insito nella nostra voce possiede poteri straordinari. Scopriamo qui sotto perchè grazie ad un meraviglioso articolo scritto dalla Dott.ssa e cantante Giusy Di Gerlando. I primi suoni con i quali il bambino entra in contatto, percependoli confusi con i rumori interni del corpo materno, sono le voci di entrambi i genitori, filtrate dal liquido amniotico. I toni e i timbri di mamma e papà con le loro differenze raccontano una storia, tradotta in musica attraverso la melodia della voce. La voce in questione si propaga, non solo nell’aria e nell’acqua ma anche attraverso le ossa e le zone maggiormente risonanti del corpo, come la scatola cranica e la gabbia toracica. Per questo motivo è consigliato alle donne in gravidanza di cantare per il loro futuro bambino. Pur non avendone fatto ancora esperienza diretta, il neonato percepisce il mondo a livello uditivo, difatti l’apparato uditivo inizia a svilupparsi dalla terza settimana e completa la sua crescita nel quinto mese di gestazione. Il suo primo vagito sarà la risposta a tutti gli echi che avrà ascoltato nel grembo materno, sarà una prima espressione soggettiva avente un proprio timbro e ritmo. Durante la gravidanza e non solo, la pasta vocale della madre, con la sua musicalità rappresenta un vero nutrimento per il neonato, e i suoi picchi prosodici creano una relazione tra i due, fatta di complicità e benessere. Ma che cosa si intende per prosodia? La prosodia è il canto interno ad ogni linguaggio parlato, che si caratterizza per il ritmo, l’accentazione e l’intonazione. Le inflessioni, le cantilene, l’intonazione di certi appellativi, l’uso di certe parole, fanno parte di un linguaggio musicale privato che coinvolge la diade madre – bambino. Jaques Lacan chiama questo linguaggio “lalangue”, e comprende anche il “mamanais” o “motherese” (il dialetto delle madri) (Pigozzi, 2008). Un’altra voce nutre e coccola il neonato, si tratta della voce paterna. Se il linguaggio materno durante la gravidanza si colloca a metà tra un suono percepito all’esterno e uno percepito all’interno, quello paterno viene identificato come proveniente dall’esterno. Durante la sua vita intrauterina il bambino sentirà dalla voce materna le frequenze acute mentre dalla voce paterna le frequenze gravi. La voce paterna è potenzialmente in grado di stimolare il corpo del feto, dai piedi all’addome, mentre la voce della madre dalla vita alla testa, lo si evince dagli studi condotti dalla psicofonista Marie Louise Aucher in collaborazione con Paul Chauchard, neurofisiologo della Sorbona. Dall’osservazione di neonati figli di cantanti professionisti, si è potuto constatare che nei casi in cui era la madre a cantare durante l’intera gravidanza, il bambino mostrava alla nascita solidità alla nuca e vigore degli arti superiori, quando invece a cantare era il padre, si osservava una precoce deambulazione (Benassi, 1998). Per questo motivo è consigliato ad entrambi i genitori di creare una relazione con il proprio bambino, attraverso il suono della loro voce, per sollecitare il suo sviluppo affettivo, sensitivo e cognitivo. Cantate, sorridete, parlate, mormorate, ma non dimenticate di ascoltare “ emotivamente” i messaggi del vostro bambino, rispettando i suoi tempi e le sue modalità di risposta. Signorile Stefania
Luisa Cascarano