Luisa Cascarano

Luisa Cascarano

Franz Kafka e la bambola viaggiatrice: una storia vera, che spiega l’amore ai bambini Un anno prima della sua morte, lo scrittore Franz Kafka visse un’esperienza davvero insolita. Mentre passeggiava al parco Steglitz com’era solito fare tutti i giorni, incontrò una bambina che piangeva disperata: aveva perso la sua bambola. Elsi, questo il nome della bambina, era in lacrime, voleva la sua Brigida persa non si sa dove. Kafka rimase molto colpito dal modo in cui la piccola si disperava e dall’intensità del suo dolore, così si offrì di aiutarla a ritrovarla. Purtroppo le cose non andarono come sperava, la bambola non fu trovata, ma lui si inventò un modo singolare per consolare la bambina. In segreto scrisse una lettera e disse alla piccola che era proprio da parte della sua amata bambola.Brigida era partita per un viaggio, ma lei era stata fortunata, perché lui era il postino delle bambole. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure”, diceva la lettera. Seguiva poi un bellissimo racconto di avventure immaginarie, di viaggi e di fantasia. Elsi leggendo quelle parole suggestive che la rimandavano a luoghi lontani, si sentì immediatamente consolata. Alla fine lo scrittore le regalò una nuova bambola, chiaramente diversa da quella perduta. Ma il suo aspetto diverso venne giustificato da un biglietto: “I miei viaggi mi hanno cambiata”.Qualche anno dopo, la bambina trovò un biglietto proprio dentro la sua bambola che diceva: ‘ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa’. Questa storia talmente bella da non sembrare vera, fu raccontata da Dora Diamant, la compagna di Kafka, poi diventata un libro ‘Kafka e la bambola viaggiatrice’ e una trasposizione televisiva e racchiude un ponte di incontro tra il mondo degli adulti e quello dei bambini. Proprio nelle pagine del libro di Jordi Sierra i Fabra si legge il racconto di Dora: “Quando eravamo a Berlino, Kafka andava spesso allo Steglitzer Park. Talvolta lo accompagnavo. Un giorno incontrammo una bambina, che piangeva e sembrava disperata. Le parlammo. Franz le chiese che cosa le fosse successo e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola. Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. “La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera”. La bambina era un po’ diffidente: “Ce l’hai con te?” “No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto”. La bambina, incuriosita, aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni, e Franz se ne tornò subito a casa, per scrivere la lettera. Si mise al lavoro in tutta serietà, come si trattasse della creazione di un’opera. Era nella stessa condizione di tensione in cui si trovava non appena si sedeva alla scrivania o stava anche solo scrivendo a qualcuno. Tra l’altro, si trattava effettivamente di un vero lavoro, essenziale al pari degli altri, perché la bambina doveva assolutamente essere resa felice e preservata dalla delusione. La menzogna doveva dunque essere trasformata in verità attraverso la verità della finzione. Il giorno successivo portò la lettera alla bambina, che l’attendeva al parco. La bambola spiegava che ne aveva abbastanza di vivere sempre nella stessa famiglia ed esprimeva il desiderio di cambiare un po’ aria, in una parola, voleva separarsi per qualche tempo dalla bambina, cui per altro voleva molto bene. Prometteva tuttavia di scrivere ogni giorno – e Kafka scrisse effettivamente una lettera ogni giorno, raccontando di sempre nuove avventure, le quali, seguendo il particolare ritmo vitale delle bambole, si snodavano in modo rapidissimo. Dopo alcuni giorni la bimba aveva scordato la perdita reale del suo giocattolo e pensava solo e semplicemente alla finzione che le era stata offerta come sostituto. Franz scrisse ogni frase di quella sorta di romanzo in modo così accurato e pieno d’umorismo che la situazione della bambola risul

Luisa Cascarano

In questo ospedale i pazienti mangiano i prodotti genuini coltivati sul tetto A Boston c’è un orto molto speciale, perché si trova sul tetto del Boston Medical Center e tutto il cibo coltivato viene poi dato ai pazienti che mangiano così cibi genuini e a chilometro zero. Ottocento metri quadrati, 25 tipi di ortaggi e due alveari. Il tetto di questo ospedale è un’oasi felice in cui si rispetta il ciclo della natura e della produzione. Ogni giorno, lavorano nell’orto sia volontari che pazienti che vogliono contribuire all’iniziativa, mentre tutti i costi di gestione, circa 500mila dollari sono coperti da donazioni. Come sappiamo, negli Stati Uniti negli ultimi anni si sta assistendo a un vero e proprio boom degli orti sul tetto. In Italia non sono ancora molto numerosi, un esempio è l’orto nato sul tetto della biblioteca di Firenze, mentre oltreoceano il fenomeno è in espansione. E quello dell’ospedale di Boston è ormai una realtà consolidata che non solo permette di produrre oltre 2.300 chilogrammi di verdure che vengono distribuite tra mensa, bar e gratuitamente ai pazienti meno abbienti che lasciano il nosocomio, ma permette anche un risparmio di 10mila dollari l’anno.Ma non solo, oltre all’aspetto legato all’ambiente, alla genuinità dei prodotti, l’orto sul tetto viene anche utilizzato come valido strumento (per chi chiaramente è nelle condizioni di farlo) per uscire dalla routine ospedaliera anche perché vengono organizzati corsi di giardinaggio e altro.Lindsay Allen è uno degli agricoltori che si occupa dell’orto e spiega che il cibo è fondamentale sua per la prevenzione che durante il ricovero ospedaliero. E chi sfortunatamente ha passato un periodo in ospedale sa che il cibo della mensa molto spesso lascia a desiderare e che invece al contrario, dovrebbe essere fatto di prodotti controllati in base ai propri disturbi.

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