Perché i gatti mangiano l'erba
La passione sfrenata dei gatti per le piante non è perché vogliono vomitare per stare meglio, come abbiamo sempre creduto.
Chiunque abbia un gatto lo sa: il suo compagno ha un problema con l'erba. E non solo quella gatta: foglie, ciuffi e altri vegetali sono uno spuntino appetitoso per qualsiasi felino, per la disperazione di chi poi si ritrova l'orchidea devastata dai denti dall'adorabile micio (e i vomitini in giro per casa). Fino a oggi si credeva che questo comportamento fosse volontario, e venisse messo in atto per questioni di salute, ma una ricerca presentata all'inizio di agosto al convegno annuale dell'International Society for Applied Ethology, getta nuova luce sulle vere ragioni della passione sfrenata dei gatti per le piante.
ERBA MEDICA? Gli esperti sono d'accordo: per quanto possa sembrare inspiegabile (in fondo il gatto è carnivoro), c'è una ragione dietro l'abitudine felina di mordicchiare le foglie. Si è sempre pensato, però, che inghiottire erba fosse un metodo terapeutico che l'animale utilizza scientemente quando è malato: obbligandosi a mangiare vegetali si "forza" anche a vomitare - in sostanza, mangiare erba sarebbe l'equivalente felino delle nostre "dita in gola".
TOSSICODIPENDENZA INVOLONTARIA. La realtà è però differente: come si legge nello studio, che ha analizzato un campione di oltre 1.000 gatti e ha scoperto che l'abitudine è comune a più del 70% di questi animali, il vero obettivo del pasto vegetale non è vomitare ma, più banalmente... mangiare l'erba; il vomito sarebbe solo un effetto collaterale, tanto è vero che solo il 25% degli esemplari studiati ha effettivamente rimesso lo spuntino. Il che ci fa tornare alla domanda iniziale: perché degli animali carnivori dovrebbero mangiare erba? La risposta è: non è che vogliano, è che sono abituati a farlo da tempo immemore.
COME LE SCIMMIE. La ragione biologica dietro al mangiare erba, infatti, sarebbe la stessa che spinge per esempio gli scimpanzé a farlo: la materia vegetale attiva l'apparato digerente e ne aumenta l'attività muscolare, e questi continui movimenti facilitano l'espulsione dei parassiti intestinali. Parassiti che, secondo i ricercatori, sono oggi assenti nei gatti domestici, che però conservano il "ricordo" di questa strategia inventata da un loro antenato, e continuano ad applicarla, anche se all'atto pratico non serve più a nulla. Se non a costringervi a lavare di nuovo il tappeto.
Le vite segrete dei gatti
Le alghe sequestra-carbonio
Le macroalghe sono attori importanti e finora sottovalutati nel ciclo del carbonio: lo sequestrano dalla CO2 e lo trasformano in biomassa nelle profondità oceaniche.
Un recente studio condotto dal gruppo di Carlos Duarte, direttore del KAUST Red Sea Research Center di Jeddah (Arabia Saudita), firmato da Alejandra Ortega, ha messo in luce il ruolo inaspettato, e importante, di macroalghe come il sargasso (Sargassum) e il kelp (appartenenti alla classe Phaeophyceae) nei processi di immagazzinamento del carbonio (dalla CO2) sotto forma di biomassa: il cosiddetto blue carbon. Lo studio è pubblicato su Nature Geoscience.
Come spiega Ortega, il possibile contributo delle macroalghe al sequestro del carbonio sotto forma di biomassa è stato a lungo ignorato, principalmente perché si tratta di alghe, ossia organismi di struttura vegetale privi di radici, dunque flottanti e difficili da seguire e monitorare sulla lunga distanza. Osservazioni e calcoli recenti stanno tuttavia rivelando uno scenario diverso: le macroalghe possono inglobare notevoli quantità di carbonio che viene rimineralizzato, depositato vicino alle coste o sequestrato nelle profondità oceaniche.
Nel 2018 il totale mondiale delle emissioni di CO2 (anidride carbonica) di origine antropica (ossia dovute alle attività umane) in atmosfera ha superato i 40 miliardi di tonnellate
Per quantificare questo fenomeno, i ricercatori del KAUST hanno esaminato il DNA di materiali particellati provenienti da oceani e mari di tutto il mondo, Mar Rosso incluso, raccolti lungo colonne d'acqua dalla superficie sino a 4.000 metri di profondità. Il DNA delle macroalghe è stato trovato sia nei campioni profondi, sia in campioni raccolti a grande distanza dalla costa. È una scoperta importante, perché si ritiene che il carbonio che raggiunge profondità superiori ai 1.500 metri può essere considerato "sequestrato" in modo permanente.
Le macroalghe potrebbero dunque fungere da serbatoi di carbonio (carbon sink): spazzini atmosferici che, assorbendo il carbonio dalla CO2 e inglobandolo a grandi profondità, ne impedirebbero il rilascio in atmosfera per periodi di tempo assai lunghi.
Le acque radioattive di Fukushima potrebbero finire nel Pacifico
Lo ha detto il Ministro dell'Ambiente giapponese, in una dichiarazione poi ridimensionata. La decisione potrebbe essere motivata da motivi di spazio: stipate nei serbatoi della Tepco ci sono oltre un milione di tonnellate di liquido contaminato.
La Tokyo Electric Power Company Holdings (Tepco), la compagnia giapponese che gestisce la centrale nucleare di Fukushima Daiichi danneggiata dallo tsunami che investì la costa del Tōhoku dopo il terremoto dell'11 marzo 2011, potrebbe dover riversare enormi quantità di acque radioattive nel Pacifico, quando lo spazio di stoccaggio sarà esaurito.
Lo ha dichiarato il Ministro dell'Ambiente giapponese Yoshiaki Harada, durante una conferenza stampa avvenuta a Tokyo martedì 10 settembre. Al momento oltre un milione di tonnellate di acqua contaminata sono conservate in quasi un migliaio di serbatoi attorno alla struttura. Quando lo spazio finirà, «l'unica opzione sarà liberarla in mare e diluirla» ha detto il Ministro, che ha aggiunto: «L'intero governo dovrà discuterne, ma mi piacerebbe offrire la mia semplice opinione».
UN MARE DI PROBLEMI. La Tepco è da anni alle prese con l'accumulo di acqua radioattiva. L'acqua di falda che scorre sotto la struttura si contamina quando entra in contatto con quella usata per impedire che i nuclei danneggiati dei tre reattori fondano. Il governo giapponese ha investito 34,5 miliardi di yen (l'equivalente di 291 milioni di euro) per costruire una barriera ghiacciata sotterranea che impedisca all'acqua di falda di raggiungere i reattori, ma la struttura è riuscita soltanto a ridurre il flusso da 500 a 100 tonnellate al giorno.
TUTTO DA RIFARE. Nel 2018, la Tepco ha ammesso che un sistema che avrebbe dovuto purificare l'acqua dalla maggior parte dei suoi elementi radioattivi non è risultato efficace. L'Advanced Liquid Processing Systems (ALPS) avrebbe dovuto rimuovere tutte le sostanze radioattive tranne il trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno relativamente poco dannoso che è molto difficile separare dall'acqua. Acqua contaminata con il trizio viene regolarmente rilasciata nell'ambiente dagli impianti nucleari di tutto il mondo.
Incalzata da alcune inchieste giornalistiche, la Tepco ha dovuto tuttavia riconoscere che anche dopo il trattamento in molte delle taniche erano rimaste tracce di stronzio-90 e altri elementi radioattivi, forse perché i materiali assorbenti utilizzati non erano stati cambiati con la dovuta frequenza. L'azienda ha quindi promesso che procederà a una nuova purificazione, se il governo dovesse decidere per l'opzione di liberare l'acqua in mare.
LE SOLUZIONI SUL TAVOLO. Questa sarebbe la soluzione più economica tra quelle finora considerate. Altre possibilità sono l'evaporazione dell'acqua, la "sepoltura" dei serbatoi o lo stoccaggio a lungo termine in taniche praticamente inattaccabili, finché la radioattività del trizio, che ha un'emivita di 12,3 anni, non sarà pari a un millesimo di quella originaria.
La decisione finale spetterà al governo giapponese, che attende il parere di una commissione di esperti per dare istruzioni all'azienda. La dichiarazione di Harada è stata definita dai colleghi un'"opinione personale". Intanto gli esperti avvertono: un altro forte terremoto potrebbe creare crepe nei serbatoi di stoccaggio, con il pericolo di una nuova contaminazione radioattiva.