Luisa Cascarano
L’inquietante sistema automatico che suggerisce ad Amazon chi licenziare perché ‘non produttivo’ Non arrivi ai livelli di produttività richiesti? Sei licenziato. In Amazon è un sistema automatico, un software che traccia i dipendenti, a indicare chi è al di sotto degli standard di produttività fissati dall’azienda. Fantascienza? No purtroppo. Si tratta di una triste verità che è già costata il posto di lavoro ad alcuni dipendenti. Un’altra denuncia dunque rivolta alla nota azienda di e-commerce, e nel mirino sempre le condizioni e il trattamento riservato ai lavoratori dei magazzini. Secondo quanto riportato da unaprecedente inchiesta, vi sono turni anche di 10 ore consecutive, un tempo massimo di 30 secondi concesso per imballare un pacchetto, ogni spostamento è sotto l’occhio di telecamere e alla fine qualcuno crolla per la stanchezza. E ora si scopre che questo sistema di controllo arriva anche a misurare in automatico i livelli di produttività, suggerendo all’azienda chi non riesce ad arrivare a quelli fissati come minimi. In uno stabilimento di Baltimora (Usa), tra agosto 2017 e settembre 2018, hanno perso il posto in 300 per motivi di “produttività”. Un caso? No una prassi denunciata sul giornale The Verge, che ha pubblicato una lettera scritta da un avvocato dell’azienda ad uno dei malcapitati, in cui segnala proprio come il suo sia uno dei casi “stardard” di licenziamento. “Circa 300 dipendenti si sono trasferiti a Baltimora in relazione alla produttività in questo lasso di tempo – ha detto un portavoce di Amazon – In generale, il numero di licenziamenti è diminuito negli ultimi due anni in questa struttura e in tutto il Nord America”. L’azienda, però, non ha fornito dettagli sull’attuale tasso di interruzioni del rapporto di lavoro. Per chiarire dunque il licenziamento di uno dei dipendenti, che aveva denunciato il suo caso al National Labour Relations Board, l’avvocato spiega nella lettera molto candidamente che era stato licenziato per non aver raggiunto gli standard di produttività fissati da Amazon e dichiara altrettanto candidamente l’esistenza di un sistema di tracciamento automatico. “Il licenziamento è avvenuto per ripetuto fallimento nell’incontrare e mantenere i livelli di produttività – si legge nella lettera – […] I criteri di ricezione di un allerta produttività sono completamente obiettivi. Il sistema di produzione genera tutti gli alert e le segnalazioni di licenziamento avvengono in automatico, senza alcun intervento da parte dei supervisori”. Tuttavia, l’avvocato spiega anche che ogni segnalazione è comunque verificata e a questo proposito cita un paio di errori del sistema che non hanno quindi portato a terminazioni del rapporto di lavoro. Sottolinea inoltre che livello di produttività deve essere ripetuto per portare ad una decisione come questa (nel caso della lettera di parla di “4 delle precedenti 6 settimane”). E afferma che, come è stato licenziato lui, lo sono stati centinaia di altri dipendenti. Senza pregiudizi dunque. Solo giudizi, ferrei, di un sistema automatico. Obiettivo? Indubbiamente. Ma quello che inquieta in realtà è proprio il controllo capillare di ogni spostamento, anche a prescindere dai risultati. Se infatti incrociamo questa nuova rivelazione con le precedenti denunce, appare un quadro di condizioni lavorative discutibile. Le proteste, intanto imperversano, al grido di “We are not robot” (“Non siamo dei robot Roberta De Carolis VIVERE LAVORO & UFFICIO
Luisa Cascarano
Riscaldamento degli oceani: la camera iperbarica che fa sopravvivere i pesci Il riscaldamento globale causa, tra le altre cose, l’innalzamento della temperatura degli oceani mettendo in difficoltà gli animali marini. Un aumento della temperatura determina infatti in pesci, granchi, stelle marine e in altri esemplari che vivono nell’ambiente marino un maggior consumo di ossigeno per sostenere il metabolismo accelerato dal calore. Nelle acque più calde, però, l’ossigeno tende a essere meno solubile e dunque la sua disponibilità è minore. Come possono sopravvivere quindi gli animali marini in queste condizioni? La risposta arriva da un recente studio svolto dai ricercatori dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università delle Scienze e delle Tecnologie dell’Arabia Saudita. Gli scienziati hanno monitorato per dodici mesi le acque del Mar Rosso, registrando temperatura e concentrazione di ossigeno a intervalli regolari. Le misurazioni sono state effettuate in tre diverse aree costiere in cui erano presenti rispettivamente una barriera corallina, praterie di fanerogame marine e foreste di mangrovie. I ricercatori hanno scoperto che nelle ore più calde del giorno, l’ossigeno disciolto nell’acqua aumenta, raggiungendo l’iper-ossigenazione proprio quando la temperatura è più elevata. Questo è reso possibile dalla presenza di vegetazione, che non solo garantisce l’ossigeno necessario agli animali marini, ma produce un eccesso di ossigeno fino 2,5 volte più della concentrazione di saturazione. “I nostri dati mostrano che i livelli di ossigeno disciolto fluttuano fortemente nell’acqua del Mar Rosso, raggiungendo l’iper-ossigenazione durante le ore più calde del giorno. L’ossigeno disciolto può anche essere pari al 200-250% della concentrazione di saturazione, un valore enorme. Questo eccesso di ossigeno è prodotto dagli organismi foto-sintetizzatori e trasforma l’acqua nell’equivalente di una camera iperbarica nelle ore più calde», ha spiegato Alberto Barausse, uno dei ricercatori coinvolti nello studio. Gli organismi fotosintetizzanti creano quindi una sorta di camera iperbarica e grazie all’ossigeno da essi prodotto, gli animali che vivono nelle acque aumentano la propria tolleranza al calore. I ricercatori hanno dunque ricreato le condizioni incontrate nel Mar Rosso e hanno confrontato l’effetto dei cambiamenti di temperatura su granchi, stelle marine, pesci, bivalvi e cetrioli di mare in acquari diversi, con e senza piante acquatiche. L’esperimento in laboratorio ha confermato l’ipotesi iniziale: in presenza di organismi fotosintetici gli animali rispondono meglio agli stress termici e grazie all’aumento di ossigeno riescono a sopravvivere ad aumenti di temperature oltre i 4°C. Questo chiaramente non significa che il riscaldamento delle acque non sia un problema e non ci esime dal cercare soluzioni rapide ed efficaci per ridurre il riscaldamento globale. I risultati dello studio sottolineano quanto sia importante tutelare e ripristinare organismi fotosintetici minacciati da inquinamento e attività umane come le barriere coralline, le foreste di mangrovie e le praterie di fanerogame marine. Proteggere queste specie fa sì che gli altri organismi marini riescano a sopravvivere al riscaldamento delle acque, fermo restando che occorre trovare soluzioni concrete per fermare l’innalzamento della temperatura.
Luisa Cascarano