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Mattoni contro carte: l'Italia sceglie ancora la pietra.
In Italia il possesso della casa significa sicurezza, status e investimento sicuro. Una mentalità che affonda nel dopoguerra, quando la proprietà immobiliare divenne il sogno di ogni famiglia.
Oltre il 60% della ricchezza degli italiani è concentrata in beni immobiliari piuttosto che in azioni o fondi. Un dato tra i più alti d'Europa che racconta la nostra identità.
Nel 2025 si registrano 725.000 compravendite immobiliari, con un aumento dello 0,8% rispetto all'anno precedente. I prezzi salgono, l'offerta diminuisce, ma gli italiani continuano a comprare casa.
Molti giovani oggi scelgono una strada particolare: restaurare case storiche nei borghi, acquistate anche a un euro simbolico. Una scelta che unisce economia, identità e recupero del territorio.
Il Superbonus 110% e il Bonus Facciate hanno trasformato questa tendenza in un fenomeno di massa. Migliaia di famiglie hanno ristrutturato immobili d'epoca quasi gratis, creando però tempi di attesa paradossali e inflazione dei costi.
I fondi immobiliari italiani gestiscono 139 miliardi di euro attraverso 675 fondi attivi e 60 società di gestione. Eppure gli italiani preferiscono ancora possedere direttamente la propria casa.
Nel resto d'Europa solo il 34% del patrimonio è investito in fondi immobiliari. L'Italia resta un'eccezione, fedele alla cultura del mattone come simbolo di solidità.
È la scelta di un popolo che preferisce la pietra alla speculazione finanziaria.
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Sessantasette anni per andare in pensione, quindici per goderla.
È la matematica spietata della Riforma Fornero, entrata in vigore nel dicembre 2011 durante la crisi economica che aveva messo in ginocchio l'Italia. Il governo tecnico di Mario Monti doveva salvare i conti pubblici.
Il decreto legge 201/2011 ha cambiato tutto.
Dal 2019, l'età minima per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni, con adeguamento automatico legato all'aspettativa di vita ISTAT.Prima le donne potevano ritirarsi a 60 anni, gli uomini a 65. Oggi tutti aspettano 67 anni, e se viviamo più a lungo, l'età si alzerà ancora.Elsa Fornero, ministra del Lavoro di quel governo, ha firmato la riforma che ha sostituito il sistema retributivo con quello contributivo. La pensione non si calcola più sugli ultimi stipendi, ma sui contributi versati in tutta la carriera.I numeri raccontano una storia diversa rispetto al passato.
Nel 1957 bastava avere 60 anni e 15 anni di contributi per andare in pensione.
Oggi servono 67 anni e almeno 20 anni di versamenti. Sette anni in più di lavoro per diritto acquisito.
Con una speranza di vita media di 82 anni secondo l'ISTAT, restano circa 15 anni da pensionati.
Una volta il tempo libero durava quanto l'intera vita lavorativa.La riforma ha creato anche una nuova categoria: gli "esodati", migliaia di lavoratori rimasti senza lavoro e senza diritto immediato alla pensione.
Il cambio di regole li ha lasciati nel limbo.L'Italia oggi ha una delle età pensionabili più alte d'Europa.
Solo Grecia e Irlanda hanno requisiti simili, mentre in Francia l'innalzamento a 64 anni ha scatenato le proteste di massa del 2023.
Il tempo della vita si è allungato, ma quello della pensione si è accorciato. Un paradosso che ridisegna il patto tra generazioni e il significato stesso del riposo dopo una vita di lavoro.
💁♂️ Quel che non sapevi, in breve
👉 Nel 1957 si andava in pensione a 60 anni, oggi a 67
👉 La speranza di vita è di 82 anni: solo 15 da pensionati
👉 L'Italia ha l'età pensionabile tra le più alte d'Europa
👉 La riforma ha creato gli "esodati": lavoratori senza lavoro né pensione
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Tre generazioni custodivano un segreto d'argento in cantina.
Una coppa ornata da un sigillo datato 1607, erede silenziosa della Serenissima. Venezia dominava allora i commerci tra Occidente e Oriente, esportando spezie, tessuti e metalli preziosi.
Il sigillo sulla coppa racconta di un mercante veneziano, quando questi oggetti d'argento misuravano fino a 35 centimetri di diametro. Le botteghe degli argentieri fiorivano nel cuore della città, forgiando opere per la nobiltà e i ceti mercantili delle corporazioni.
Famiglie di commercianti venete tramandavano simili tesori come pegni d'onore. Il possesso di coppe d'argento marcate attestava l'appartenenza alle potenti gilde mercantili.
Gli archivi delle corporazioni veneziane documentano oggetti analoghi, spesso associati a famiglie di mercanti. Inventari e collezioni della regione veneta confermano questo sistema di filiere artigianali.
Nel Seicento, quella coppa non dormiva in cantina: era un vero "passaporto commerciale". I mercanti nascondevano gli oggetti preziosi in doppifondi segreti, proteggendoli dai pirati dell'Adriatico durante i trasporti via acqua.
Oggi resta solo il mistero di un nome perduto, custodito dal freddo metallo. Quella coppa d'argento incarna la ricchezza materiale e simbolica di un'epoca, nodo della memoria collettiva che attraversa i secoli.
💁♂️ Quel che non sapevi, in breve
👉 Le coppe d'argento veneziane del '600 erano "passaporti" per trasportare merci tra stati rivali
👉 I mercanti le nascondevano in doppifondi segreti per sfuggire ai pirati dell'Adriatico
👉 Il sigillo datato 1607 attestava l'appartenenza alle potenti gilde mercantili della Serenissima
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