Founder Starter
IL PROF. LOTTIERI CHE SPIEGA LA GRAVITA’ DELL’ACCADUTO
O ti adegui, o ti adegui. Non si fermano gli attacchi, le intimidazioni, le delegittimazioni e i messaggi subliminali nei confronti di quei professori universitari che non si conformano alle posizioni ufficiali del governo sul green pass. E – sottolineiamo – Green Pass, non vaccini. Perché ormai la narrazione mainstream, per convenienza, ha messo tutto nello stesso calderone.
L’ultimo in ordine di tempo è Carlo Lottieri, che oltre ad essere un ottimo docente, è anche una figura di spicco del mondo liberale e libertario italiano nonché collaboratore del Giornale e grande amico della Zuppa. La sua colpa? Aver espresso il proprio pensiero ad una manifestazione anti Green Pass davanti all’Università di Verona. E così è arrivata, puntuale, la sua delegittimazione pubblica da parte dell’ateneo scaligero, che si è immediatamente dissociato dalle sue posizioni per bocca del direttore del dipartimento di Scienze Giuridiche, Stefano Troiano.
Le parole del direttore del dipartimento
“Sebbene nella manifestazione abbia preso la parola anche un docente del dipartimento, questo non può indurre a fraintendimenti” – recita la nota ufficiale -. “Le opinioni che vi sono state espresse si devono considerare manifestate a titolo personale e in nessun modo ascrivibili alla comunità dei giuristi riunita nel dipartimento, la quale ha peraltro liberamente e continuamente aderito all’opportunità di inaugurare, fra le prime, il programma vaccinale”. E poi una chiosa davvero sorprendente e che sa quasi di presa per i fondelli: “La comunità accademica deve essere sempre al servizio e mai serva”.
Ma davvero? Ed è quello che sta effettivamente accadendo, direttore, oppure sta avvenendo l’esatto contrario? Sembra davvero incredibile che in questo Paese non si possa nemmeno più esprimere opinioni personali senza poi finire su qualche giornale o subire prevaricazioni di qualche tipo. C’è forse bisogno di una puntualizzazione pubblica per chiarire che chiunque di noi, ad una manifestazione, parla a titolo personale? Non è del tutto evidente che il pensiero di un individuo non possa essere ascritto all’intera comunità di cui fa parte, sia essa un’università, un’azienda o qualsiasi altra organizzazione?
Certo che sì. E allora l’obiettivo di queste azioni deve giocoforza essere un altro.
Il pericolo del conformismo
Andrebbe però sempre ricordato, che dietro questo gioco al massacro, c’è pur sempre la vita e la carriera delle persone. Persone che da anni tengono viva non solo la cultura, ma anche quelle libertà e quei principi democratici su cui dovrebbe basarsi il nostro paese. Persone che più di ogni altro hanno il merito di formare ragazzi pensanti, con la schiena dritta e, se del caso, anche ribelli. Professori che non sempre hanno le spalle larghe o la fortuna di stare dalla parte giusta, e che se non difendiamo rischiamo di perdere facendo tanto male a noi stessi e alla nostra società.
Non ci dilunghiamo oltre perché tutti questi concetti li spiega sicuramente meglio di noi il professor Lottieri che, su nostra richiesta, ha gentilmente registrato questo video.
Ascoltiamolo attentamente e sosteniamolo in questa battaglia di libertà. Giù le mani da Lottieri!
Founder Starter
Founder Starter
Cari tutti,
mi permetto di rubarvi pochi minuti del vostro preziosissimo tempo per comunicarvi la mia scelta – una scelta ben più che minoritaria, verosimilmente, nell’Università italiana – di non avvalermi del lasciapassare verde. Questo breve scritto, lo dico subito, non ha alcun intento provocatorio o propagandistico. Si tratta di una semplice testimonianza – la mia testimonianza, inevitabilmente parziale, irriducibilmente soggettiva. Che vi chiedo di accogliere, comunque, quale che sia il vostro libero pensiero in merito all’argomento, come atto di doveroso e profondo rispetto nei riguardi di tutti gli studenti e di tutti i compagni di lavoro del Dipartimento di Lettere e Filosofia e dell’intera comunità accademica.
Non entrerò troppo nel dettaglio delle motivazioni, universali o intime, che mi hanno portato a fare questa scelta. D’altronde, tutti voi avete sapienza e cultura in abbondanza per immaginarne in gran numero e varietà: di ordine politico, ideologico, giuridico, costituzionale, razionale, scientifico, sanitario, etico, psicologico e persino psichiatrico. E magari motivazioni che riguardano la stessa Università, ovvero se oggi l’Università sia ancora abitata da un disinibito e indipendente spirito critico, se viva ancora di fertili controversie o si mortifichi in uno sterile conformismo, se promuova il rischio dinamico della creatività e della complessità o prediliga la statica sicurezza del protocollo e della profilazione seriale. Infine, e soprattutto, se l’Università possa dirsi, oggi, spazio libero, aperto e inclusivo.
Ma, davvero, non ha nessuna importanza che io renda conto nello specifico di questa mia personalissima scelta. Perché è questa scelta, non ciò che l’ha motivata o che può significare, che determina l’impossibilità di iniziare, come ogni anno, il mio corso di Letteratura Italiana; è questa scelta a mettermi ipso facto in quella condizione di diversità e di precarietà che molti – comprensibilmente, per carità – non possono né vogliono sopportare.
Si tratta, in sostanza, della “scelta di scegliere” indipendentemente dalle conseguenze – permettetemi, per una volta, di aggrapparmi alle parole altrui -, quella che “investe le condizioni di possibilità di ogni eventuale scelta, a partire dalla propria. Da qui la sua forza, ma anche la sua pericolosità e il suo rischio” (G. GIORELLO, Di nessuna chiesa. La libertà del laico). Sembra un atto di patetico integralismo intellettuale a vocazione pubblica, ma è tutt’altro: è un atto psico-fisico di necessità, è la resistenza individuale, privata e obbligata di chi sa di perdere molto, se non tutto, ma intende, insieme alla sua libertà, conservare il rispetto di sé.
Dunque, sono ben consapevole di ciò che il mio eretico Non Serviam! comporta sul piano burocratico ed economico: al momento, la sospensione dal lavoro senza retribuzione; più avanti, forse, il licenziamento. E chissà che altro ancora: quando si innesca, come la storia ci insegna, la brama di discriminazione e di persecuzione non conosce limiti.
Comunque sia, sono ancor più consapevole delle conseguenze che tale scelta provoca sul piano emotivo e umano. E chi mi conosce sa bene che il dispiacere più grande sarà la perdita dell’energizzante contatto con gli studenti: quel salutare assembramento e contagio di intelligenze, di progetti e di corpi che resta la cosa più bella e importante, la cosa più vitale, del nostro mestiere.
Dal 1984, anno della mia immatricolazione, non è passato giorno che io non abbia fatto parte, in un ruolo o nell’altro, dell’Università di Firenze. Qui, nella mia città, ho potuto godere del beneficio di studiare e di lavorare sotto la guida e al fianco di grandi maestri, di formarmi come ricercatore e docente. E, soprattutto, come uomo. Però, davvero non ho intenzione, nel contesto, nelle forme e nei toni con cui oggi viene richiesto, di esibire il lasciapassare verde per insegnare, per andare in biblioteca, per entrare nel mio studio, per incontrare gli studenti, i laureandi, i dottorandi… peraltro avendo anche il sacerdotale ufficio di interrogare, controllare e allontanare gli eventuali renitenti all’osservanza. No, non ho intenzione di godere di questo inopinato ‘privilegio coatto’ che, diversamente da quanto avviene in tutte le democrazie d’Europa, il governo del nostro paese (e l’Università) vuole concedere, bontà sua, ai docenti, agli amministrativi e agli studenti ben codificati e, sempre e ovunque, scansionabili. Per quanto tempo – mesi, anni, in eterno? -, non si sa.
Neanche, si badi, ho intenzione di infrangere la legge – almeno per ora, mi pare che il diritto non preveda né punisc