Gattina Ottanta

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Gattina Ottanta

Lui è Luca. Nasce in Trentino nel 1988. È un bambino felice, tranquillo. I genitori sono separati, ma attenti a non fargli mancare nulla. Luca ha 10 anni. Il papà del suo vicino ha bisogno di parlargli. Vuole sapere della colonia estiva. Luca lo segue. Sono soli in casa. L’uomo lo fa accomodare. Hai già avuto esperienze sessuali? Luca non capisce. L’uomo insiste con le domande, poi lo afferra per un polso. Lo tiene stretto. Si abbassa i pantaloni. Sono momenti interminabili. Luca si divincola. Scappa. Corre fuori da quella casa. È sconvolto. Incontra la mamma. Piange. Racconta tutto. La donna lo porta al sicuro. Lo tranquillizza. Gli dice di aspettarlo. Va dal vicino. Lo affronta. L’uomo ammette tutto. Lo denunciano. Luca di asciuga le lacrime. Non è successo niente, è tutto ok. Passa qualche giorno. Entra in classe. I compagni lo guardano. Lo additano. Com’è stato? Ti è piaciuto? Luca è spiazzato. Come lo sanno? Non riesce a rispondere. Scoppia a piangere. Corre in bagno. Va tutto bene, va tutto bene. I compagni non si fermano. Ogni giorno c’è una battuta, una risata. Quando cammina nei corridoi, pronunciano il nome di quell’uomo ad alta voce. Luca piange. Tutti ridono. I professori non intervengono. Nessuno lo difende. Luca non vuole più uscire di casa. Odia tutti. I genitori lo mandano in una scuola lontana, dove non lo conosce nessuno. Le cose migliorano. Luca ha dei nuovi amici, è più tranquillo, più forte. Per le superiori torna nel suo paese. Può farcela. Entra in classe. È vero che a 10 anni hai fatto sesso per soldi? Angoscia, terrore, schifo, gli crolla tutto addosso. Non è cambiato niente. È distrutto. Passa anni chiuso in casa. Si droga. Si sente morto. Non può andare avanti così. Si costringe a prendere un aereo. Australia, Nuova Zelanda, Londra. Viaggiare lo fa sentire vivo. Smette con le droghe. Trova il suo equilibrio. Torna a camminare a testa alta. Ma quelli come me sono destinati ad avere l’anima sempre in tempesta.

Gattina Ottanta

Lei è Tina. Vive a Napoli. È il 19 giugno del 1991. È incinta. Ha le contrazioni. È il momento tanto atteso. Tina e il marito sono pronti, prendono la borsa e partono per l’ospedale. Imboccano l’autostrada. Sono le 8.30 del mattino. È l’ora di punta. Ci sono molte macchine. Tina è emozionata, non vede l’ora di vedere la sua bimba. Pensa al momento in cui la stringerà tra le braccia. Sente le spinte. Respira. Ha già un figlio, sa come fare. La clinica non è lontana. Deve tenere duro solo un po’. Sono in mezzo al traffico. L’auto fa strani rumori. Perde colpi. È il motore. Qualcosa non va. Il marito di Tina accosta appena in tempo. Sono fermi in una piazzola di sosta. L’auto non parte. Forza, forza. Gira la chiave, ci riprova. Niente. Si guardano attorno. L’area di servizio è a un chilometro di distanza. Anche la clinica è lontana. Raggiungerla a piedi è impossibile. Tina diventa bianca. Ha dolori atroci. Il marito si fionda giù dalla macchina. Cerca di fermare le auto che passano. Tina scendi, fa vedere che hai il pancione. Tina si trascina giù dall’auto. Si mette sul ciclo della strada. Mostra il suo pancione, ma non serve. Nessuno accosta. È disperata. La bambina spinge. Si sforza di trattenerla. Ha paura. Potrebbe farle del male. Cerca di respirare. Pensa al peggio. No. Deve calmarsi. Deve resistere. La bambina spinge. Tina sente la sua testa tra le gambe. Sta uscendo. È terrorizzata. Il marito si sbraccia, urla. Nessuno li soccorre. Si guardano negli occhi. Un’auto si avvicina. Accosta. Entrate. Tina sale in auto. Non riesce a parlare. Ansima. L’uomo mette in moto. Il traffico è intenso. Tina respira. La bambina è lì. Può toccarle la testa. Manca poco. Arrivano all’ospedale alle 9 in punto. Tina scende. Non si volta. Pensa a sua figlia. Cerca di tenere le gambe strette. Arrivano i medici. La portano in sala parto. Le sollevano la gonna. Cinque minuti dopo nasce Barbara. Tina la prende tra le braccia. È sana, sta bene. Non riesce a crederci. Vuole ringraziare quell’angelo che l’ha aiutata, ma lui è andato. Tina non sa neanche il suo nome.

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