Lui è Adriano. Nasce a Milano il 6 gennaio del 1938. È un bambino vivace, testardo. Ha 4 anni. La mamma lo mette a letto, lui fa le capriole, non ne vuole sapere di stare fermo, la fa impazzire finché lei non si stanca e si addormenta. Si sveglia, corre in cortile a piedi nudi. Si sdraia per terra, guarda il cielo. Le sere d’estate, gli zii si mettono sul marciapiede e suonano il mandolino. Adriano ascolta, balla, la musica gli entra dentro. Lo chiamano Terremoto. Ne combina sempre una. Le portinaie gli urlano dietro in milanese Va via terhun d’un mal nat! Adriano ride, gli fa il verso. Ha bisogno di vedere il cielo, stare all’aria aperta. Indossa pantaloncini corti tutti sporchi, con una bretella a posto e l’altra giù. Scalzo, scarmigliato, guance rosse. Uno scugnizzo. Si rotola per terra. Fa il bagno nella Martesana. La mamma urla, lui ride, lei lo rincorre con la scopa. Adriano è uno scalmanato. Finisce le elementari, lascia la scuola e comincia a lavorare. Fa l’orologiaio. La famiglia si trasferisce in centro, dove vivranno una vita migliore. Adriano è disperato. Piange tutto il giorno. Scappa, torna nei prati della vecchia casa. Stare chiuso tra il cemento lo fa sentire in trappola. Per evadere si butta nella musica. La sua passione è il rock. Prende la chitarra, suona, canta, si dimena. Si sente vivo. Mette su un gruppo. Si esibisce nei locali, nei teatri. Acchiappa subito il pubblico di giovani. La sua musica è una ventata di novità. È il 1957. Debutta a un festival rock. È sfrontato, sovversivo, imprevedibile. Canta, salta. Lo chiamano il molleggiato. Lo mettono sotto contratto. Partecipa a Sanremo, gira dei film. La sua ascesa è inarrestabile. Adriano Celentano è una star, ha venduto duecento milioni di dischi. Rispetto a quando era bambino, la sua vita è cambiata, ma lui si sente ancora Il ragazzo della via Gluck che scappa dall’asfalto per andare a guardare il cielo.
Buon compleanno molleggiato