La vista di un cucciolo commuove sempre chi ha un animo sensibile: una nuova vita che si affaccia al mondo è il segno della continuità, della speranza.
Loro sono mamma e figlio. Una donna ed un ragazzo che sanno bene cosa sia la sofferenza. Rosaria Costa ed Emanuele Schifani, rispettivamente moglie e figlio dell'agente Vito Schifani, morto nella strage di Capaci. A distanza di quasi 28 anni da quel drammatico 23 maggio del 1992, un’altra notizia scuote la loro famiglia: l’arresto per mafia di Giuseppe Costa, fratello della signora Rosaria.
Risuonano ancora nella mia mente le parole della giovanissima vedova Schifani, al funerale del marito, di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, di Antonino Montinari e Rocco Di Cillo.
“Io vi perdono ma dovete mettervi in ginocchio”. Per poi aggiungere, ma loro non si pentono.
E non solo non si sono pentiti, gli uomini della mafia siciliana, ma le hanno portato via anche il fratello.
“Da ieri per me è morto”, urla ancora una volta, questa volta oggi, la signora Rosaria. Ed è un urlo straziante, che sembra sentirsi.
Stessa sofferenza di Emanuele Schifani, suo figlio, oggi capitano della Finanza. Un Ufficiale che ha voluto ripercorrere le orme del padre. Perché Loro lo sanno da che parte stare.
E chissà quanto male abbiano fatto le parole del boss Francesco Bonanno, quando disse ai suoi: "Di Costa possiamo fidarci si è comportato bene, ha preso le distanze da sua sorella".
Le distanze da sua sorella, quella donna che urlò la richiesta di pentimento e che oggi, invece, viene ancora una volta ferita da quella mafia siciliana che cambia pelle ma non cambia mai.
Una metafora, la loro storia. Una metafora d’insegnamento per ognuno di noi.
Bisogna scegliere da che parte stare della storia. Io oggi, ancora una volta, sto con loro: con la Signora Rosaria e con il caro e forte Emanuele.