Gattina Ottanta

La ricordo ancora la sera in cui scoprii che Babbo Natale non esisteva... Mio padre aveva uno scrittoio in mogano, che si chiudeva a chiave, dove conservava i suoi documenti. Un pomeriggio di dicembre, passandoci davanti, mi accorsi che era rimasto aperto e non potei non dare una sbirciatina; credevo nascondesse chissà quali segreti. Alla fine mi accorsi che c'era soltanto un cumulo di carte ma sotto alcuni fogli riconobbi una mia lettera, non una lettera qualsiasi ma la lettera che avevo scritto per Babbo Natale. Non capivo come fosse finita lì, visto che l'avevamo spedita insieme e sotto la prima mi resi conto che c'erano anche tutte quelle degli anni passati. Molti dei miei compagni mi avevano già detto che Babbo Natale era soltanto una leggenda ma in quel momento mi sembrò che il mondo mi cadesse addosso. Fu un attimo, sentii i passi di mio padre avvicinarsi e corsi via, avrei voluto parlargli, dirgli tante cose ma feci finta di nulla. Quella sera usciamo insieme, io ero stranamente silenzioso, lui mi chiese più di una volta che cosa avessi ma io trovai sempre delle scuse banali. Mentre eravamo in giro per commissioni, mio padre vide una persona anziana che portava delle buste della spesa, si fermò con l'auto, prese le buste, mettendole nel portabagagli e la accompagnò a casa. Ricordo ancora oggi il sorriso di gratitudine di quell'uomo. Non parlai a mio padre di quella mia scoperta, non ne parlai mai anche quando lo vidi tante e tante volte aiutare gli altri con gesti semplici e delicati perché in quella sera fredda avevo capito che la magia non è un abito rosso o una slitta volante, la vera magia è avere un cuore che sa donare. Sono passati 35 anni da quella notte di dicembre, 7 da quando il suo cuore ha smesso di battere e donare. A quello scrittoio ora ci sono seduto io, sotto vari documenti ogni anno conservo la lettera che mia figlia scrive a Babbo Natale. Il mio sogno più grande è che un giorno lei possa pensare di me ciò che io ho pensato sempre di mio padre.

Gattina Ottanta

"I sogni hanno i tuoi occhi, hanno il tuo respiro. Sono nati tra i marciapiedi della tua vita. Alcuni appassiti, altri con radici profonde, ma tutti sono stati innaffiati dal tuo cuore. E per non calpestarli... imparerai anche a volare.."

Gattina Ottanta

Lui è Paolo. Vive a Ginosa, in provincia di Taranto. È il 1946. Ha 12 anni. Sta giocando per strada. Un muretto gli crolla addosso. Gli rompe tutte le ossa della gamba. Gliela ingessano. Ma il dolore non passa, ha un’infezione. Va in cancrena. Sono costretti ad amputarla. Paolo cresce così. Con una protesi in legno al posto della gamba. È fastidiosa, ma impara a conviverci. La mette la mattina e la toglie alla sera. Paolo cresce, zoppica, ma questo non lo ferma. Gira l’Italia, va in Svizzera, è un lavoratore instancabile. Torna in Puglia e mette su famiglia. Trova lavoro come magazziniere. Fa il calzolaio per hobby. Ha 50 anni. Viene colpito da una meningite fulminante. Nel giro di un mese diventa sordo. L’ultima voce che sente è quella di sua figlia Francesca. Paolo non si scoraggia. Diventa bravissimo a leggere il labiale. Lui e Francesca si intendono alla perfezione. Paolo riesce a capire cosa dice anche quando lei è girata di spalle. Francesca sa che suo papà è sordo, ma per lei non vuol dire nulla. Papà è solo papà, e non c’è niente che non possa fare. Zoppica, non riesce a correre? Poco male, in paese gira sempre sullo scooter, è la sua seconda gamba. Passa qualche anno. L’azienda in cui Paolo lavora chiude i battenti. Paolo decide di dedicarsi in tutto e per tutto alla sua passione. Investe un po’ di soldi, compra un laboratorio, l’attrezzatura necessaria e apre una piccola bottega di calzolaio. È un fanatico delle scarpe. Insegna ai figli che nella vita contano il buon cibo e quello che si porta ai piedi. Guardando le scarpe, si possono capire molte cose su una persona. È fondamentale andare in giro con una scarpa in ordine e curata. È il 2018. Paolo Curci ha 84 anni. Ha un arresto cardiaco. Muore tra le braccia della figlia Francesca. Grazie a lui, Francesca ha imparato a non vedere la disabilità come un ostacolo, per loro non lo è mai stato. Adesso è lei a girare per il paese con il motorino. E quando le dicono che sembra suo padre, Francesca si riempie d’orgoglio.

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