“Ciao papà, ho trascorso i 10 giorni più brutti della mia vita, sapendo che stavi la “da solo” combattendo contro il male e non potendoti vedere, parlare, abbracciarti, stringerti, avrei fatto qualsiasi cosa pur di stare là vicino a te.
Ora la mia vita sarà diversa, perché sono cresciuto con dei valori importanti ed è per questo che voglio ringraziarti papà, per tutto quello che hai fatto per me, per avermi reso un uomo forte e coraggioso, ti vorrò sempre bene papà mio!! Vorrei poter ancora sentire la tua voce, mi mancano le risate che ci facevamo, mi manca il tuo sorriso, i tuoi occhi, mi manca vederti sul divano a guardare la tv.
Devo dirti scusa e grazie... Scusa per tutte le volte che non ho capito, per tutte le volte che non ti ho detto T.V.B, scusa per gli abbracci mancati, per le parole non dette, per gli sbagli che ho fatto, ma soprattutto grazie perché sei stato un padre e non smetterai mai di esserlo. Senza di te non c’è l'avrei mai fatta, anche se non sei più con noi il tuo ricordo e il tuo sorriso non sarà mai dimenticato!!!! Avevi tanti amici che ti volevano bene, perché tu avevi qualcosa di diverso, eri sempre presente, sempre disponibile, eri l'amico di tutti, eri e sei il mio orgoglio “(spero di esserlo stato anch’io per te)”🙏!!!!!!
Oggi più che mai ho capito quanto sei stato importante nella mia vita, e nei prossimi anni terrò questi preziosi ricordi nel mio cuore. Ciao papà...anzi...ciao sceriffo.....fai buon viaggio ❤️❤️ tuo Francesco”
- Le parole di Francesco Totti, dedicate a suo padre Enzo ❤️
Tredici anni fa, proprio il 14 ottobre, si spegneva nel carcere di Perugia Aldo Bianzino.
Oggi non possiamo che raccogliere e rilanciare, nel nostro piccolo, l’appello di suo figlio Rudra affinché si riaprano le indagini sulla vicenda e soprattutto si riaccendano i riflettori sulla sua morte.
Aldo viveva a Pietralunga, un piccolo paese arroccato sui monti ai margini della provincia di Perugia. Per chi come noi c’è stato tante volte, per chi conosce le persone del luogo, per chi insomma è umbro, di nascita o di adozione, questa vicenda è ancora più dura da raccontare.
Era una brava persona Aldo, una persona semplice che, come spesso dice Rudra, non aveva mai fatto male a nessuno. Anzi si era sempre speso e prodigato per chi ne aveva bisogno e il suo modo di essere ed il suo carattere emergono dai racconti di tutti quelli che lo hanno conosciuto.
Aveva appena 44 anni quando, il 12 ottobre 2007, alcuni agenti durante una perquisizione nella sua dimora trovano poche piante di marijuana. Piante ad uso strettamente personale.
Lo portano via insieme alla moglie, Roberta, lasciando Rudra, che all’epoca è solo un ragazzino, con la nonna novantenne.
Due giorni dopo, mentre la stanno rilasciando, Roberta chiede di vedere il marito e gli agenti gli dicono che è impossibile perché è deceduto.
La morte di Aldo le viene riferita così.
Per la famiglia inizia un terribile travaglio. La madre e la nonna di Rudra non reggono allo stress e lo lasciano presto, così rimane lui, lui da solo a combattere la battaglia per sapere la verità sulla morte del padre.
Perché non è affatto chiaro come sia morto Aldo Bianzino.
Secondo la ricostruzione degli agenti, il detenuto sarebbe stato ritrovato esanime nella sua stanza e sarebbe stato condotto davanti all’infermeria per praticare una rianimazione, poi fallita. L’autopsia rileva ematomi cerebrali, lesioni al fegato e alla milza che vengono collegati a “evenienze traumatiche” legate al tentativo di rianimazione. La morte sarebbe stata causata da un aneurisma cerebrale.
I vari processi che seguiranno porteranno alla condanna di uno degli agenti penitenziari per omissione di soccorso. Restano tuttavia moltissimi dubbi che lo scorso anno Rudra e i suoi legali hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica depositando un'istanza per la riapertura delle indagini. Innanzitutto è stato acclarato che la foto inserita nella perizia in cui viene mostrata la zona in cui ha avuto origine l’aneurisma non è riconducibile a Bianzino. Restano inoltre molti dubbi legati all’origine delle echimosi interne di Aldo che, secondo i periti della parte civile, sarebbero da datare prima del decesso e non dopo.
Insomma una vicenda ben poco chiara su cui, come detto, è bene che si torni ad indagare e soprattutto si tengano costantemente accesi i riflettori della stampa.
Perché Aldo e tutti quelli che come lui sono morti nelle mani dello Stato meritano giustizia e verità.
Cronache Ribelli
Lo hanno pestato di botte, provocandogli lesioni irreversibili e abbandonandolo sulla montagna in mezzo alla neve. I medici che gli hanno salvato la vita avevano dato poche speranze ai genitori: Luca non si sarebbe risvegliato dal coma, e anche lo avesse fatto non avrebbe mai più potuto condurre un’esistenza serena.
Due giorni fa, invece, Luca Mongelli, oggi ventiseienne, si è laureato in Scienze della comunicazione.
La sua storia è agghiacciante, emblema di una crudeltà talmente disumana che si fa fatica solo a immaginare possa albergare nell’anima di qualcuno. Nel 2002 Luca aveva sette anni ed era in vacanza in Svizzera, a Veysonnaz, in Vallese, a sciare con i genitori e il fratello quando un gruppo di ragazzi, mai identificati nonostante i sospetti, lo aggredì barbaramente di sera su un campo di neve. Secondo l’ipotesi investigativa più accreditata, Luca sarebbe stato picchiato selvaggiamente perché italiano, emigrato in Svizzera e figlio di emigrati. Lo abbandonarono seppellito nella neve, si salvò per miracolo ma i segni di quella violenza purtroppo sono ancora terribilmente presenti.
Luca è quadriplegico e non vedente a seguito dell’aggressione ricevuta. Al risveglio dal coma il giovane parlò di un gruppo di ragazzi del posto, ma la verità processuale, chiusasi con il caso caduto in prescrizione senza colpevoli un anno fa, riporta una verità che non ha mai convinto nessuno: ad aggredire il bambino secondo gli investigatori fu il suo cane. Anche se sul corpo di Luca non vennero trovate tracce compatibile di un attacco da parte dell’animale.
In questi anni Luca e la sua famiglia si sono sempre battuti per la verità. “Chi mi ha fatto questo è un gran bastardo” ha detto in un’intervista il ragazzo, che con tenacia si è laureato in Comunicazione presso l'Università degli Studi "Aldo Moro" di Bari, con una tesi sulla “società liquida” di Zygmunt Bauman.
Luca è un esempio di come la forza di volontà possa superare ogni ostacolo. Ma anche di quanto la caduta nell’abisso dell’animo umano possa provocare dolore e sofferenza.
Filippo Rossi