Helverie doresse Yamou
Oggi Lorena si è laureata in Medicina nella sua Messina. 110 e lode con una tesi sulle immunedficienze selettive. C’era la commissione togata, c’era la famiglia, gli amici, c’erano i docenti e i direttori di dipartimento, c’erano gli investigatori che hanno seguito il suo caso, c’erano persino le telecamere. Mancava solo lei. Perché Lorena Quaranta è stata uccisa a 27 anni la notte tra il 30 e il 31 marzo scorso, colpita, accoltellata, infine strangolata dal suo convivente, che allora si giustificò in questo modo atroce: “Credevo mi avesse trasmesso il Coronavirus.” Lorena era una studentessa brillante ormai a un passo dalla laurea, sognava di diventare un medico per poter aiutare i suoi futuri colleghi nella lotta alla pandemia. Non ha fatto in tempo a indossare un camice, ma è riuscita a coronare il suo sogno di essere proclamata dottoressa, in un commovente risarcimento postumo, alla sua memoria ma anche, in qualche modo, a quella di tutte le 53 donne vittime di femminicidio nel 2020. Ora sì, ora ce l’ha fatta. Congratulazioni dottoressa Lorena Quaranta.
Helverie doresse Yamou
Si era appena alzato dal suo posto sull’autobus che ogni sera lo riportava a casa da Castel Volturno, dove lavorava come saldatore. Jerry, migrante ghanese allora 28enne, ha chiesto all’autista di aprire le porte, che era arrivata la sua fermata. Solo che tra lui e l’uscita si è messa di mezzo una persona. “Scusa, devo scendere” ha detto Jerry a bassa voce. Nessun movimento. Nessuna risposta. “Per favore, mi fai passare” ha insistito una, due, tre volte. La prima reazione è stata: “Vaffa*****”. La seconda una serie spaventosa di insulti razzisti. Poi, quando infine Jerry è riuscito a farsi largo e scendere dal bus, ha sentito un colpo violentissimo alla schiena che lo ha fatto rovinare sull’asfalto. Un pugno. Un solo pugno alle spalle che ha lasciato Jerry paraplegico, paralizzato a vita. Poi sono arrivati i calci sul corpo ormai inerme che gli toglieranno anche l’uso di mani e braccia. Era una sera di luglio del 2017. Per tre anni Jerry è andato avanti così, su una sedia a rotelle 24 ore su 24, senza poter lavorare né vivere, perennemente dipendente da altri anche per i bisogni vitali. Almeno fino a ieri sera, quando Soumaila Diawara ha dato per primo la notizia: Jerry non ce l’ha fatta. Dicono che negli ultimi tempi fosse peggiorato, che si era lasciato andare, che non aveva più voglia di lottare con una vita che gli aveva tolto tutto. La sua agonia è terminata ieri pomeriggio a 31 anni, ucciso dalla rassegnazione e da un assassino razzista che lo ha ammazzato due volte. Quella di Jerry è una storia di orrore agghiacciante e impossibile redenzione, l’istantanea di un Paese immortalato nell’attimo in cui perde l’innocenza. Come Willy. Solo, nel silenzio. Non esiste un finale giusto per questa storia. Non esiste una spiegazione che non sia allagata di lacrime per questa vita perduta, cancellata, gettata via come fosse carta straccia. Non c’è perdono possibile per tutto questo male. Scusaci, Jerry per non aver visto, per non aver fatto, per non essere stati abbastanza.
Helverie doresse Yamou