“Truffa”, “frode”. “Abbiamo vinto noi.” “Ci stanno rubando le elezioni.” “Andremo davanti alla Corte suprema.”
Sono solo alcune delle deliranti dichiarazioni, in ordine sparso, rilasciate nelle ultime ore da Donald Trump nel bel mezzo di uno degli Election day più complessi, controversi e incerti della storia Usa.
Quest’uomo è un pericolo per la democrazia. Un mistificatore conclamato. Un propalatore seriale di fake news. Talmente tanto che persino Twitter ha dovuto ripetutamente smentirlo. L’ultima poche ore fa.
Comunque andrà a finire, questa notte lunghissima ci ha sbattuto in faccia due verità tanto drammatiche quanto incontrovertibili:
La prima. Che non c’è stata valanga né una timida cascatella. Che una fetta enorme dell’America rurale, working class, persino gli ispanici e gli immigrati di seconda generazione, ha rivotato in massa Donald Trump. Che il popolo ha sempre ragione ma ha anche un’enorme responsabilità. E, in casi così conclamati di miopia e masochismo, colpe immani e non emendabili.
Due. Che in gioco non c’è solo una sfida tra Biden e Trump e neppure tra democratici e repubblicani, ma tra due idee ontologicamente, visceralmente, geneticamente opposte di politica e di mondo: di qua i ponti, di là i muri; di qua chi rispetta leggi e risultati, di là chi rovescia il tavolo a partita in corso come se fossimo in Corea del Nord e si autoproclama vincitore; chi invita alla calma e chi evoca complotti, frodi e minaccia ricorsi alla Corte suprema che si è apparecchiato prima della partita con la nomina della fedelissima Amy Coney Barrett.
Ci auguravamo l’alba della Liberazione. È diventata la notte della ragione. Un incidente di cui la Storia, comunque vada, ci chiederà conto.
Questo 2020 non finisce mai.