Helverie doresse Yamou
QUANDO L’ABUSO SUI BAMBINI NON ERA NEANCHE CONSIDERATO REATO: LA STORIA DI MARY ELLEN, PICCHIATA E MALTRATTATA PER ANNI DAI GENITORI ADOTTIVI. PER TOGLIERLE L’AFFIDAMENTO DELLA PICCOLA SI DOVETTE RICORRERE ALLE LEGGI SULLE VIOLENZE VERSO GLI ANIMALI “Mamma e papà erano morti. Non so quanti anni ho. Nei miei ricordi ho sempre vissuto qui. La mia mamma adottiva mi frustava e mi picchiava praticamente ogni giorno. Avevo lividi ovunque [...], arrivò anche a tagliarmi con una forbice. Non ricordi di aver mai ricevuto un bacio - men che meno dalla mia mamma adottiva. Non mi ha mai concesso carezze o affetto. Non ho praticamente mai parlato con nessuno, pena le botte. Non so perché mi picchiasse, non mi diceva mai nulla mentre lo faceva. Non voglio tornare a vivere con lei, perché mi picchia. Non ricordo di essere mai scesa in strada”. Questa testimonianza da brividi racconta una storia di abusi e violenze che risalgono al 1874. Purtroppo, storie come queste possono essere trovate anche oggi. C’è però una grossa differenza con la storia di quella bambina, Mary: all’epoca l’abuso verso i bambini non era sanzionato in alcun modo. Mary Ellen Wilson nacque nel 1864 da Thomas e Frances Wilson a New York. Suo padre morì in guerra, lasciando la madre con grossi problemi finanziari. Affidata a un istituto governativo, dopo poco tempo la bimba, che aveva poco più di due anni, venne affidata ai coniugi McCormack. L’affido, inoltre, avvenne senza i documenti necessari. Mary McCormack rimase presto vedova, risposandosi poco dopo con Francis Connolly. Mary conobbe così la sua madre adottiva, nonché aguzzina. Le botte, la reclusione forzata, le violenze. Fu l’arrivo nel vicinato di Etta Wheeler, una metodista che si occupava di famiglie in situazioni di povertà, a salvare letteralmente la vita di Mary. Quando visitò la zona, infatti, una vicina la informò delle urla e dei pianti provenienti da uno degli appartamenti dell’edificio. Con una scusa, Etta riuscì ad entrare in casa Connolly-McCormack. Fu così che intravide Mary Ellen: aveva 10 anni ma ne dimostrava la metà, era piena di lividi e ferite, era scalza a dicembre e, non ultimo, visibilmente terrorizzata. Era chiaro che la bambina aveva bisogno di aiuto. Ma come fare? Al tempo, infatti, nonostante l’esistenza di leggi locali che punivano maltrattamenti eccessivi a danno dei più piccoli, le autorità erano decisamente restie a utilizzarli. L’educazione dei bambini - se così si potevano definire botte e maltrattamenti - erano di competenza strettamente familiare. Ma Etta Wheeler non si diede per vinta, e si rivolse a Henry Bergh, noto attivista newyorkese, attivo però soprattutto in difesa dei diritti degli animali. “E cos’era Mary, se non un piccolo animale indifeso?”. Henry decise di supportare Etta Wheeler nella sua battaglia e, col tempo, i due riuscirono a dare risalto alla storia di Mary, a ottenerne l’allontanamento dalla matrigna - grazie appunto anche alle leggi contro la crudeltà rivolta agli animali - e alla condanna di quest’ultima a un anno di prigione. Ma soprattutto riuscì a portare all’attenzione dell’opinione pubblica la questione delle violenze subite in famiglia dai bambini, un argomento che all’epoca era quasi un tabù. Mary, nel frattempo, crebbe ed ebbe un’adolescenza felice e si sposò a 24 anni. Poco dopo nacque la sua prima figlia: la chiamò Etta, in onore della donna che aveva salvato lei e che aveva aiutato intere generazioni di bambini ad ottenere diritti fondamentali. Cannibali e Re Questa storia fa parte degli inediti da noi scritti per il Rapporti Diritti 2020 a cura di A Buon Diritto.
Helverie doresse Yamou
Malak Lassiri aveva 14 anni. È morta all’alba mentre dormiva insieme alla sorellina di 3, Jannat, in un campeggio di Marina di Massa, mentre era in vacanza coi genitori, travolta da un albero che si è abbattuto sulla sua tenda nel sonno durante un nubifragio. Malak è nata in Italia da una famiglia di origini marocchine e la sua intera vita era legata a questo Paese: infanzia, scuola, lingua, amici, il sogno di diventare judoka. Tutto. Sarà per questo, o forse solo per un mero slancio di umanità, che i genitori di Malak hanno annunciato di voler donare gli organi della loro figlia più grande. Avrebbero voluto farlo anche per la piccola Jannat, ma non è stato possibile. Una morte straziante, inaccettabile, salverà la vita ad altri ragazzi, italiani come lei. La bellezza normale di un gesto straordinario. La vita che sopravvive anche alla morte, contro tutto il razzismo del mondo.
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