gabriella marzia rapisarda
gabriella marzia rapisarda
Ho viaggiato per quattrocento chilometri, da casa mia fino a Lecco e ritorno. L’ho dovuto fare perché mia suocera ha finito la prima fase della convalescenza dopo un intervento all’anca e starà da noi per la seconda parte. Questo viaggio si può raccontare in due modi. Il primo segue il registro della paura come concetto contundente, quello che va per la maggiore in questi giorni, è una narrazione semplice e sempre efficace e fa così: Le strade sono vuote, i parcheggi delle fabbriche vuoti, le persone non esistono più. In quattrocento chilometri non sono stato fermato una sola volta, in questo paese non c’è controllo, tutti fanno quel che gli pare ed è per questo che durerà per sempre e non usciremo mai da questo incubo, perché è troppo semplice aggirare i divieti. In sei ore ho anche visto uno che faceva jogging ed è un irresponsabile stragista. La stessa storia la puoi però raccontare così, come preferisco e mi sento di raccontarla: Per strada ho incrociato molti camion, gente che lavora per tenere insieme questo paese. In giro non c’era nessuno, le persone stanno a casa perché rispettano le regole. La stragrande maggioranza delle persone sta rispettando queste misure straordinarie senza bisogno che ci sia qualcuno a controllarle. C’era un tizio che correva in una strada deserta, da solo, senza avvicinarsi ad alcun assembramento. L’ho trovato molto civile, lui e il fatto che nessuno lo insultasse da una finestra. Ci stiamo sacrificando tutti. Poco o tanto. Milioni di persone chiuse in casa. Ma questo sacrificio regge se chi ha potere di decidere cambia radicalmente modalità di comunicazione. Le persone muoiono, tantissime, troppe. È la peggiore emergenza sanitaria del dopoguerra, nessuno (per fortuna) ne dubita più. Ma nemmeno nei tempi più cupi ha senso terrorizzare e punire la maggioranza delle persone se la maggioranza delle persone segue le regole. Parlateci dei farmaci, delle sperimentazioni, di chi ce l’ha fatta, di chi esce dalle TI. Diteci che questo sforzo ha, sta per avere o avrà senso, per dargli un senso. Se non ne ha, cambiate modalità senza più minacciare di farlo. La paura non è benzina, ora. L’angoscia è il tassello che fa crollare tutto il domino, che ancora sta in piedi. Da questo virus si esce, lo sappiamo, quello che non conosciamo è il prezzo. Se stabilite una misura del tempo, rispettatela. Cominciare al giorno 10 a dubitare di misure che danno frutti al giorno 28 è criminale. Non snocciolate morti e numeri come fossero dispacci di guerra che confermano tesi. Non ci sono tesi, c’è un enorme sforzo collettivo, unico nel suo genere. Prendersela con i pochi che trasgrediscono è lavoro delle forze dell’ordine, non della stampa e nemmeno dei delatori da balcone. Ho fatto 400 chilometri, ho visto un paese serio e ferito. Rispettiamolo, aiutiamolo, piantiamola di terrorizzarlo, perché verrà il giorno che non crederà più a quello che scriviamo, che non crederà più a queste misure e che sceglierà di prendersi quell’1% di rischio personale che invece per anziani e deboli è il più drammatico battito d’ali di farfalla. Siate seri, siamolo tutti. Meno voci, più notizie, più serietà su questa tragedia, che non è una gara al rilancio. Di Michele Dalai
gabriella marzia rapisarda