
Stefano Rossi
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MUSICA - 2/9/1917, NASCE IL MAESTRO ARMANDO TROVAJOLI. "ROMA NON FA' LA STUPIDA STASERA".
02/09/2018, 18:58
Pianista, compositore e direttore d' orchestra. Nel 1939 suona con l'orchestra di Sesto Carlini, una delle più rinomate formazioni jazzistiche italiane dell'epoca. Dopo la guerra torna ad alternare l'attività nel jazz con quella nella musica leggera. Nel 1950 inizia una serie di incisioni discografiche, pubblicate col titolo Musica per i vostri sogni. Con lo stesso titolo, e in un secondo tempo con quello di Eclipse, realizza in collaborazione con Piero Morgan (Piero Piccioni) un ciclo di trasmissioni radiofoniche, uno tra i primi tentativi italiani di presentare esecuzioni pianistiche di jazz con orchestra d'archi. Nel 1958 fonda a Roma l'Orchestra Stabile di Musica Leggera della Radiotelevisione Italiana, che verrà successivamente diretta da Gorni Kramer, Lelio Luttazzi e Piero Piccioni. Nel 1962 Trovajoli, che in precedenza aveva collaborato ad alcuni spettacoli di rivista, venne chiamato a comporre la musica per un film scritto da Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa. Il film doveva chiamarsi Rugantino, ma allora non venne realizzato; venne realizzato nel 1973 con Adriano Celentano come attore protagonista (Rugantino). Il copione venne invece ripreso da Garinei e Giovannini, che lo utilizzarono per realizzare la famosa commedia musicale omonima, che ebbe un enorme successo. Trovajoli si segnala all'attenzione degli intenditori per lo studio condotto sui motivi popolari romani dell'Ottocento, sapientemente riecheggiati nelle sue composizioni. Ottenne poi altrettanti successi con Ciao Rudy e Aggiungi un posto a tavola sempre di Garinei e Giovannini. La più suggestiva ed orecchiabile canzone di Rugantino, Roma, nun fa' la stupida stasera, divenne il suo terzo best seller mondiale. Da ricordare nel repertorio di colonne sonore la collaborazione con registi come Vittorio De Sica, Marco Vicario, Dino Risi, Luigi Magni e Ettore Scola del quale ha musicato praticamente l'intera filmografia.


Stefano Rossi
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MUSICA DELLA BUONANOTTE - 1/9/1653, NASCE JOHANN PACHELBEL, AUTORE DEL CELEBRE "CANONE".
01/09/2018, 19:27
Nello stile di Pachelbel la cantabilità delle melodie e la semplicità armonica sono segno della sua vicinanza allo stile italiano. Fu maestro di Johann Christoph Bach, fratello maggiore di Johann Sebastian. Il "Canone e Giga in Re maggiore", titolo completo, è stato scritto per tre violini e basso continuò, ma è diventato famoso soprattutto nella sua versione per orchestra registrata nel 1968 dalla celebre orchestra da camera Jean-François Paillard. Il Canone di Pachelbel rappresenta uno degli esempi più importanti di crossover in ambito musicale: a partire dagli anni settanta è infatti passato dall'essere un'opera poco conosciuta della musica barocca al diventare un elemento culturale universalmente noto. Il Canone è stato infatti oggetto di numerosi rifacimenti e adattamenti in chiave pop o rock: alcuni si rifacevano nell'orchestrazione e nel rispetto della partitura, al modello originale, altri invece hanno avuto il carattere talvolta di vera e propria sperimentazione musicale, con l'uso di strumenti prettamente usati per altri generi musicali, come ad esempio la chitarra elettrica.


Stefano Rossi
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MUSICA E POESIA - RECENSIONE DEL TESTO "DA OMERO AL ROCK", DI MAURIZIO STEFANINI E MARCO ZOPPAS.
01/09/2018, 12:36
Cosa hanno in comune Tagore e Calvino, Lorenzo de’ Medici e Guantanamera? Sono la prova di un millenario rapporto di amore: quello tra la poesia e la canzone. Fino ad allungarsi alla canzonetta. C’è un filo che unisce il Magnifico mediceo, che avvertì il bisogno di esprimere la gioia di vivere e insieme le ombre del tempo che scorre componendo il celeberrimo Trionfo di Bacco e Arianna («Quant’è bella giovinezza/Che si fugge tuttavia/chi vuol esser lieto, sia:/di doman non v’è certezza…») a quella canzone simbolo della gioia di vivere cubana? Improvvisata a una festa popolare nel 1929 da Herminio García «Diablo» Wilson, seccato per esser stato bacchettato da una «guajira» indiana («Eh! E che si è messa in testa ’sta burina di Guantánamo!»), Guantanamera deve però gran parte della fama planetaria al recupero e all’inserimento delle quartine scritte mezzo secolo prima da José Martí: «Yo soy un hombre sincero/De donde crece la palma/Y antes de morirme quiero/ Echar mis versos del alma…». Versi struggenti, riletti molti anni dopo da Sergio Endrigo: «Coltivo una rosa bianca/In luglio come in gennaio/Per l’amico sincero/Che mi dà la sua mano franca». Tagore, Nobel per la letteratura 1913, drammaturgo, poeta e filosofo bengalese detiene un primato insuperabile: è l’unico autore degli inni di due Paesi diversi. «La prima delle cinque strofe del suo poema Dispensatore del destino dell’India è divenuta infatti nel 1950 l’inno nazionale dell’India ». E nel 1972 «i primi dieci versi della sua canzone (Mio Bengala dorato) furono adottati come inno nazionale del Bangladesh». Parole e musica, scrivono i due autori, si unirono nei tempi più antichi. Anzi, «non esiste in nessuna società preistorica una poesia che sia nata senza musica; la letteratura non è scrittura bensì parola, e come tale può essere cantata. Prima dell’affermarsi della scrittura senza un supporto musicale era quasi impossibile memorizzare i versi. Poi la scrittura si è diffusa e la gente ha imparato a leggere». In questo processo «i poemi di Omero e le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide sono stati conservati senza le melodie che li accompagnavano, e al di là del testo in prosa è comunque nato anche per la poesia un canone in cui la musicalità della parola può affermarsi senza il supporto del canto». Senza. Lungo i secoli la volontà di unire testi e musica, è rimasta. Si pensi al Salmo 137, il lamento degli ebrei deportati a Babilonia dopo la caduta di Gerusalemme del 587 a.C. Il grido di libertà ha ispirato musicisti e movimenti politici di tutti i tipi. Dal librettista Temistocle Solera che fornì a Giuseppe Verdi i versi per quel coro del Nabucco che tocca il cuore degli italiani fino al gruppo giamaicano The Melodians che evocando la tratta degli schiavi compose Rivers of Babylon, portata al successo internazionale dal gruppo Boney M. Un reggae. Amatissimo da Bob Marley. Tra centinaia di protagonisti spiccano i grandi che composero canzoni come parolieri. Calvino, ad esempio, che con la musica di Sergio Liberovici scrisse capolavori come Oltre il ponte o Canzone triste. Leonard Cohen che fu salutato al debutto da scrittore, prima di passare alle canzoni, come «il nuovo James Joyce canadese». Dario Fo, che proprio mettendo insieme parole e musica vinse il Nobel. O Gabriele d’Annunzio che nel 1907 scrisse in napoletano A vucchella («Méh, dammillo, dammillo,/è comm’a na rusella../dammillo nu vasillo,/ dammillo, Cannetella!») e nel 1911 «il libretto di Le martyre de Saint Sébastien: di Debussy». O Vinícius de Moraes che decise di comporre e cantare la sua prima canzone vent’anni dopo aver esordito come poeta e in coincidenza col successo teatrale che avrebbe poi vinto l’Oscar come «Orfeo negro». E poi ancora Neruda, Borges, Pasolini e Brecht, le cui canzoni bellissime sarebbero state eseguite in Italia da Milva. Insomma, non perderemo tempo a domandarci se una poesia, una volta messa in musica, rimane una poesia. Semmai ribalteremo la prospettiva e ci chiederemo se una poesia che non può essere musicata debba ancora essere considerata una poesia.(G.A. Stella)

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