Laura Lupini
Il diritto dei bambini a vivere in un mondo senza violenza È faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. Ora avete torto. Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli» (Janusz Korczak, poeta, medico, pedagogo). In Italia gli abusi e i maltrattamenti sui minori rappresentano un fenomeno diffuso e in continua espansione, accentuato dalla fragilità economica e sociale che espone un numero sempre maggiore di nuclei familiari. Sono quasi 6 milioni, tra bambini e adulti, le persone che nel nostro Paese sono o sono state vittime di maltrattamenti durante l’infanzia. È uno dei dati che emerge dall’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia, uno studio statistico-quantitativo elaborato da Cesvi (un’organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente) e validato da un comitato di esperti, presentato nel giugno 2018, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione #LiberiTutti. Costruito a partire dall’analisi dei fattori di rischio e dei servizi di ogni regione, l’Indice rappresenta un’indagine applicata tanto alle potenziali vittime che agli adulti potenzialmente maltrattanti. Evidenziando le forti disparità nel contrasto e nella prevenzione del fenomeno tra il Nord e il Sud del Paese (con le regioni del Sud in fondo alla classifica e la Campania fanalino di coda), la ricerca mette in luce una maggiore incidenza del maltrattamento intrafamiliare. I bambini e le bambine sono infatti maltrattati soprattutto nell’ambiente che più di tutti dovrebbe garantire loro sicurezza e protezione. In tali condizioni, il maltrattamento sui bambini è la conseguenza ultima di una situazione di disagio che coinvolge le figure genitoriali e il contesto familiare, ambientale e sociale nel quale i bambini vivono e crescono.Il problema della mancanza di un piano organico di rilevazione precoce del fenomeno e di prevenzione, la crisi del welfare e le carenze organizzative dei servizi di tutela, incidono sulla presa in carico e sui sistemi efficaci di protezione, come conferma una ricerca sulle potenzialità di risposta, che è ancora difforme nel nostro paese. Infatti, non in tutte le regioni italiane abbiamo la stessa situazione, con una grave disparità per i bambini maltrattati ad essere presi in carico e curati, e quindi disattendendo ai loro diritti di avere uguali possibilità... Ci auspichiamo che l’anno che è appena cominciato, in cui festeggeremo i 30 anni dell’approvazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza trovi il nostro paese più preparato a fronteggiare il diritto a vivere in un mondo senza violenza» puntualizzano Gloria Soavi e Rossana Carbone, del Cismai (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia) nell’articolo “Violenza sui bambini e le bambine: a che punto siamo?” pubblicato l’11 gennaio 2019 sul sito del Cismai. L’inadeguatezza attuale del sistema ad evidenziare i fattori di rischio e a riconoscere i segnali si evidenzia drammaticamente quando ci si trova davanti a fatti di cronaca che scuotono le coscienze. Il più recente riguarda il piccolo Giuseppe, il bambino di sette anni, morto domenica 27 gennaio a Cardito, nel Napoletano, in conseguenza delle violenti percosse del compagno della madre, Tony Essobti Badre, un uomo di 24 anni nato in Italia da padre tunisino. Anche la sorellina Noemi, di otto anni, ha subito la furia dell’uomo, ma è sopravvissuta al pestaggio, pur con il volto devastato da lividi e ferite e la psiche ferita dall’aggressione feroce. L’uomo è accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi e tentato omicidio aggravato, mentre la posizione della madre è ancora al vaglio degli inquirenti.
Laura Lupini
Violenze sui bambini a scuola, «curare la salute delle maestre» L’ultimo caso è venuto alla luce ieri, con l’arresto di un’educatrice di 52 anni, che gestiva un “nido domiciliare” a Siena dove, secondo le accuse che hanno portato la donna prima in carcere e poi ai domiciliari, i bambini subivano maltrattamenti e percosse, ma anche alimentazione forzata. Le indagini sono partite dalla denuncia di due mamme e le intercettazioni ambientali avrebbero confermato il quadro preoccupante all’interno della struttura. I militari sono intervenuti quando l’educatrice ha messo una bambina sul passeggino nel terrazzo. Il pianto della piccola e le urla della donna hanno attirato l’attenzione dei passanti e fatto scattare l’operazione.Quest’ultimo episodio ha riacceso il dibattito sull’opportunità di dotare di telecamere asili nido e scuole materne (oltre alle case di riposo), come strumento di prevenzione delle violenze ai danni di bambini e anziani. Una soluzione che, però, non convince il medico Vittorio Lodolo D’Oria, massimo esperto di burnout e stress lavoro correlato degli insegnanti, patologie alle quali Lodolo associa l’escalation di violenze nelle scuole.i casi sono stati 78 con un totale di 156 docenti indagati (di cui 2 uomini), ripartiti in 9 nidi comunali, 53 scuole dell’infanzia e 16 scuole primarie.Dal 2014, gli episodi sono stati sempre più numerosi e, in particolare, sono triplicati tra il 2015 al 2016 (passando da 8 a 22), mentre a gennaio di quest’anno si sono già avuti quattro casi.Nella grande maggioranza dei casi, l’87%, a sporgere denuncia sono stati direttamente i genitori, mentre sei episodi sono stati segnalati dai colleghi insegnanti, due casi dai collaboratori scolastici e in un solo caso le violenze sono venute alla luce dopo la denuncia del dirigente scolastico.Nell’81% dei casi il reato ipotizzato a carico delle maestre è “maltrattamenti”, mentre per il 19% si tratta di “abuso dei mezzi di correzione”. Mediamente, le indagini con le telecamere posizionate nelle scuole sono durate 67 giorni, con un minimo di 15 giorni di riprese e un massimo di quattro mesi. Sotto osservazione, il comportamento di insegnanti ed educatrici con un’età media tra i 55 e i 56 anni, in abbassamento tra il 2017 e il 2018, anche se, i casi del 2019 finora registrati, hanno riguardato donne con un’età media di 59 anni.È evidente la progressione dei casi di presunte violenze con l’aumentare dell’età delle insegnanti – osserva Vittorio Lodolo D’Oria –. Viene così definitivamente a cadere l’ipotesi che i maltrattamenti abbiano luogo per innata “indole malvagia” delle maestre anziché per sfinimento e logorio psichico professionale. Se la causa di tutto fosse infatti “l’indole malvagia” del docente, avremmo un’età media molto più bassa perché l’insegnante sarebbe “cattivo” coi bimbi fin dall’inizio della sua attività. Eppure – osserva l’esperto – solo da poco è stata riconosciuta come “usurante” la professione delle maestre della scuola dell’infanzia.Le telecamere – osserva Lodolo D’Oria – presentano numerosi limiti sui quali gli stessi giudici operano chiari richiami nei procedimenti giudiziari. La prima riguarda i tempi lunghi di registrazione, quasi che la “pesca a strascico” fosse l’unico criterio d’indagine adottato. C’è poi il problema della selezione delle immagini, della decontestualizzazione degli episodi e della drammatizzazione delle trascrizioni. le telecamere non aiutano a capire i motivi scatenanti dei maltrattamenti che, come dimostro nella ricerca, risiedono nell’età avanzata delle insegnanti e nella loro usura psicofisica.Su questo dovrebbero lavorare le istituzioni, a partire dal Miur, per tutelare una categoria professionale ingiustamente sofferente ed esposta alla gogna mediatica».
Laura Lupini