Laura Lupini

Equi Terme: guida completa e cosa vedere Equi Terme è una piccola frazione di Fivizzano: quest'ultimo è a sua volta il capoluogo di un comune della provincia di Massa-Carrara piuttosto vasto di dimensioni (circa 180 chilometri quadrati di superficie), che però al suo interno conta meno di 8.000 abitanti distribuiti in ben 94 frazioni. Equi Terme sorge nell'area più orientale della Lunigiana, più precisamente alle pendici del Pizzo d'Uccello: si tratta di una delle cime più alte delle Alpi Apuane (soprattutto della loro parete nord), arriva a 1.781 metri di altitudine e segna il punto di confine orografico ed idrografico tra l'alta valle del Serchio (Garfagnana) e quella del Magra (Lunigiana). Dal punto di vista climatico Equi Terme presenta temperature tendenzialmente calde e temperate, con precipitazioni concentrate soprattutto durante la stagione invernale: il mese più freddo dell'anno è gennaio, durante il quale si registra una media di 4.2 °C, mentre il più caldo è luglio, durante il quale si registra una media di 21.6 °C. Fivizzano nasce come storico luogo di sosta per tutti coloro che intendevano intraprendere la strada tra Lucca e Parma. La sua storia si lega presto a quella del vicino ospedale voluto dal feudatario Spinetta Malaspina "Il Grande" ed abitato dai monaci ospitalieri di Sant'Antonio della Congregazione di Vienne, oltre che a quella del castello della Verruccola, ampliato dallo stesso Malaspina verso la prima metà del XIV secolo. Una località con un'importanza strategica tale da procurarle diverse incursioni nel corso dei secoli: da quelle dei soldati di Castruccio Castracani (1317) a quelle dell'armata dei Visconti di Milano (1439), arrivando a quelle compiute dall'esercito del re francese Carlo VIII nel 1494, ben descritta da Francesco Guicciardini nella sua "Storia d'Italia". Durante il XVI secolo Fivizzano passa sotto il dominio di Firenze, vivendo un forte momento di sviluppo tanto urbano e commerciale quanto culturale: si pensi che fu uno dei primi centri italiani ad iniziare a stampare con caratteri tipografici italiani le opere di autori classici quali Virgilio, Cicerone, Sallustio e Giovenale. Un destino legato a quello della tipografia dunque, soprattutto se consideriamo che anche nel 1802 il conte locale Agostino Fantoni avrebbe inventato quella che venne definita sin da subito una "preziosa stamperia", ovvero una delle prime macchine da scrivere a stampare in modo simile a quelle moderne. Per quello che riguarda la storia di Equi Terme (località davvero recentissima) vale la pena ricordare per lo meno il violentissimo terremoto di magnitudo 6.4 della scala Richter che colpì la zona di Fivizzano nel 1920 ed il devastante bombardamento compiuto da aerei anglo-americani durante la seconda guerra mondiale (datato 13 luglio 1944 e costato la vita a trentasei cittadini locali). Nel frattempo Equi Terme aveva legato la propria fortuna a quella dell'Hotel Radium (l'attuale Hotel Terme Ristorante la Fonte, costruito alla fine dell'Ottocento), le cui piscine venivano usate sia per bagni caldi che per cure inalatorie. Il comune di Fivizzano ha acquistato la struttura di cui sopra nel 1989 e da allora le ha riqualificate in maniera significativa, trasformandola in un attrezzatissimo centro di cura le cui acque sono utili contro le affezioni della pelle, contro i problemi respiratori e reumatici, ma anche contro le allergie e le affezioni ginecologiche. La località di Equi Terme dista circa 15 chilometri da Fivizzano e circa 18 dal capoluogo di provincia Massa Carrara: per raggiungere entrambe, volendo utilizzare la macchina, la strada più veloce da percorrere è la Statale SS63 del Valico del Cerreto, che attraversa l'Appennino per cambiare poi regione ed arrivare fino a Reggio Emilia. In alternativa per raggiungere la frazione è anche possibile percorrere l'Autostrada A15 Parma-La Spezia ed uscire ad Aulla, seguendo poi le indicazioni ed attraversando diversi piccoli comuni quali Pallerone, Serriciolo, Rometta e Gassano.

Laura Lupini

Il borgo di Calcata Il borgo di Calcata è uno dei borghi abbandonati più belli d’Italia. Intorno agli anni ’30 del 1900 gran parte della popolazione lasciò il paese che si stava sgretolando lentamente. Calcata, infatti, condivide con la vicina Civita di Bagnoregio la definizione di “Paese che muore” proprio per il lento ma inevitabile cedimento del tufo su cui è costruito. Il paese doveva essere abbattuto ma per fortuna una legge del 1990 lo salvò. Ad aiutarne la rinascita anche l’intervento di molti artisti: negli anni qui hanno girato film Sergio Leone, Monicelli scelse il borgo per una celebre scena di “Amici miei“, Pasolini il suo Decameron e De Andrè giro un videoclip della canzone “Una storia sbagliata“. Oggi nel borgo vivono circa 70 residenti, italiani e stranieri che hanno scelto Calcata per una vita più tranquilla. L’abbandono ha permesso al borgo di mantenersi intatto: a partire dagli anni ’60 molti artisti si sono innamorati di Calcata scegliendola come luogo di vita e di lavoro. La maggioranza della popolazione, comunque, ha 4 zampe: e sono i gatti di Calcata, tanti, amichevoli e super-fotografati!Il borgo ha ripreso vita ed oggi è meta di un turismo che ama la tranquillità, la natura e l’arte. Il borgo di Calcata ha un unico ingresso che conduce a una piazzetta con la Chiesa e il Palazzo Baronale (Castello), gli unici due monumenti di rilievo di Calcata. Vi accompagnano lungo il breve ma emozionante percorso, i ciottoli del fiume Treja che scorre sotto la rupe del borgo, e che sono serviti nei secoli per fare i pavimenti delle strade. Nel borgo vivono circa 70 residenti, italiani e stranieri che hanno scelto di vivere qui. Di domenica è affollata di turisti e da persone che hanno a Calcata una seconda casa. Il centro del paese è la suggestiva piazza con la Chiesa del S.S. Nome di Gesù e il Castello degli Anguillara. (vedi paragrafo successivi). Qui colpisce subito l’atmosfera antica, di un borgo dimenticato e decadente, ma ancora vivo. Si notano subito i tre grandi troni in pietra dono dell’artista Costantino Morosin. Il Palazzo Baronale Non è un monumento eccezionale, esclusa la Torre Merlata che delinea il profilo del borgo, ma racconta la storia di Calcata più di ogni altra cosa. La famiglia degli Anguillara ha vissuto qui per secoli, ospitando anche l’ufficio postale, la scuola per i bambini, il medico del paese, il forno pubblico nei sotterranei. Nel salone del palazzo si sono sposati tutti i calcatesi, per generazioni, e ancora oggi arrivano persone da tutto il mondo a celebrare le nozze “scenografiche” qui. Dopo una lenta decadenza è stato acquistato dal Parco del Treja, che ne ha affidato la rinascita all’architetto Paolo Portoghesi. Oggi le sale ospitano le opere di artisti locali, spazi espositivi e convegni ed è la sede del Centro Visite del “Parco Valle del Treja”. Chi non ne conosce la storia ignora l’importanza che questa piccola chiesa ha avuto per la religione cristiana. Del resto, anche la chiesa piccola e graziosa non dà l’impressione di essere un luogo così fondamentale: costruita nel 1300 e ristrutturata nel 1793 ha un’unica navata con il soffitto a capriate, una fonte battesimale, un’acquasantiera del XVI secolo e un tabernacolo a muro. Niente altro. Dietro l’altare si trova una serie di pitture che rappresenta storie del Cristo. Ed è qui che la storia di Calcata si incrocia con quella della religione cristiana: secondo una leggenda, nel 1527 fu arrestato un lanzichenecco che aveva partecipato al “Sacco di Roma” e rubato il Santo Prepuzio di Gesù dal Sancta sanctorum di San Giovanni in Laterano. Nel 1557 la reliquia fu ritrovata nella cella ed esposta in questa chiesa: ai pellegrini che facevano visita a questo luogo venivano dati 10 anni di indulgenza. La chiesa di Roma non ha mai visto di buon occhio queste pratiche, ritenendole offensive, ma la devozione popolare è sempre stata prevalente. Nel 1900 la Chiesa vietò a chiunque di scrivere o parlare del Santo Prepuzio, pena la scomunica e lo stigma di “persona da evitare”.

Laura Lupini

Il borgo di Civita di Bagnoregio il suggestivo borgo di Civita di Bagnoregio, nel viterbese, è purtroppo segnato da un destino inesorabile. Il lento sgretolarsi della rupe su cui sorge e la continua erosione della valle che lo circonda ad opera degli agenti atmosferici, dei terremoti e di due torrentelli, minano l’esistenza del minuscolo borgo dove, come ha scritto il saggista Bonaventura Tecchi, “tutto quel che è rimasto – un ciuffo di case e di mura in rovina, nere sul tufo, erette come sul vuoto – respira ormai l’atmosfera della fine”. Civita di Bagnoregio, anche nota come “ la città che muore”, è un luogo di struggente bellezza, unico nel suo genere. Unita alla terra ferma solo da uno stretto viadotto pedonale di 300 metri, la cittadina si erge come un isolotto di tufo in mezzo al mare dei calanchi, offrendo ai visitatori uno scenario di insolito incanto, quasi surreale. Per cercare di conservarla è stato introdotto un biglietto di ingresso al paese, i cui ricavati serviranno per i lavori di conservazione (3 € in settimana, 5 nel fine settimana). Testimonianze etrusche, vestigia romane, portali medioevali e fregi rinascimentali segnano l’antico volto di Balneum Regis (Bagno del Re) – dalla leggenda secondo cui la stazione termale presente nell’area fu utilizzata dal re longobardo Desiderio per curare una grave malattia – divenuto poi Bagnorea, ed infine Bagnoregio. All’interno del borgo semi disabitato, si respira un’atmosfera tranquilla e rilassata. Passeggiando per le sue stradine superstiti ci si ritrova circondati dalle tipiche case medioevali con le scalette esterne (profferli) e i balconcini fioriti, non di rado occupate da botteghe artigiane, e da alcuni bei palazzi nobiliari, che emergono da un passato prestigioso, quando Civita era un libero comune, oltre che un’importante sede vescovile. Ad imporsi su quel che resta dell’antico abitato, il campanile romanico della chiesa di San Donato sull’omonima piazza, che si staglia, snello e slanciato, nel paesaggio modellato dalle forze della natura. L’accesso al borgo medievale di Civita di Bagnoregio avviene attraverso un ponte di 300 metri, ripidissimo, che conduce alla Porta di Santa Maria, o Porta della Cava, con loggetta a tre arcate. Piccola, perfetta, silenziosa, la Piazza di San Donato a Civita appare quasi come una visione quando si spunta da uno dei vicoletti del paese. Quasi non ci si aspetta di trovare uno spazio così (relativamente) ampio in un paese così piccolo e arroccato. Le case basse, i balconi fioriti, le scalette esterne (profferli) che salgono verso i portonicini rendono belle tutte le case del borgo di Civita di Bagnoregio. Nella zona orientale del Belvedere c’è la grotta di San Bonaventura, un’antica tomba etrusca utilizza nel Medioevo come romitorio dagli eremiti. Alla fine della strada principale del borgo di Civita di Bagnoregio c’è un belvedere che offre una magnifica vista sui calanchi o “ponticelli”, enormi muraglioni in che si sono formati in modo naturale nel corso di millenni. Osservando con calma queste costruzioni naturali, si riesce a comprendere perché Civita di Bagnoregio è chiamato “paese che muore“. La prima domenica di Giugno e la seconda domenica di Settembre in occasione rispettivamente, dei festeggiamenti della Madonna Liberatrice e del SS. Crocifisso, sulla piazza di San Donato si svolge l’antico Palio della Tonna (tonda nel dialetto locale). La sera del Venerdì Santo, il SS. Crocifisso, deposto dalla chiesa di San Donato, viene portato in processione dagli “incollatori” tra canti antichi e figuranti in costume. E’ sicuramente una delle manifestazioni più suggestive d’Italia quella che ogni anno si rinnova a Civita di Bagnoregio per celebrare la nascita di Gesù. La gastronomia di Civita di Bagnoregio è quella tipica della tradizione viterbese a base di piciarelli (pasta simile agli spaghettoni fatta con acqua e farina)

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