IL LIBRO ROSSO DI JUNG

Founder President

Ricordi, sogni, riflessioni - A confronto con l’inconscio «Annotai le mie fantasie come meglio potevo, e feci un serio sforzo per analizzare le condizioni psichiche in cui erano sorte; ma mi riuscì di farlo solo con un linguaggio approssimativo. Per prima cosa esponevo le fantasie come le avevo osservate, di solito con un "linguaggio elevato", poiché questo corrisponde allo stile degli archetipi. Gli archetipi parlano un linguaggio patetico e persino ampolloso. È uno stile che mi riesce fastidioso e mi dà ai nervi, come quando qualcuno sfrega le unghie su un intonaco o il coltello su un piatto; ma poiché non sapevo di che cosa si trattasse, non avevo altra scelta che scrivere tutto nello stile voluto dall'inconscio stesso. A volte era come se lo udissi con le mie orecchie, a volte come se fosse sulla mia bocca, e la mia lingua stesse formulando le parole; di tanto in tanto mi coglievo a bisbigliare parole: sotto la soglia della coscienza era tutto un fermento di vita. Fin dal principio avevo concepito il mio confronto con l'inconscio come un esperimento scientifico, che ero io a dirigere, il cui esito interessava la mia vita. Oggi potrei dire, ugualmente bene, che si trattava di un esperimento che facevo su me stesso. Una delle più grandi difficoltà stava nel dominare i miei sentimenti negativi: mi abbandonavo volontariamente ad emozioni che in realtà non potevo approvare, e scrivevo fantasie che spesso mi sembravano senza senso, e suscitavano in me resistenze. Perché, finché non ne intendiamo il significato, tali fantasie sono un diabolico miscuglio di sublime e di ridicolo. Sottopormi ad esse mi era penoso, ma era il destino ad esigerlo. Solo con uno sforzo supremo alla fine riuscii ad evadere dal labirinto. Per poter cogliere le fantasie che mi sollecitavano dal "sottosuolo", dovevo, per così dire, sprofondarmi in esse: cosa che provocava in me non solo una violenta opposizione, ma una vera paura. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell'inconscio e, quale psichiatra, sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Comunque, dopo lunghe esitazioni, mi resi conto che non c'era altro modo di venirne a capo. Dovevo accettare la sorte, e dovevo tuttavia osare impadronirmi di quelle immagini, poiché altrimenti correvo il rischio che fossero esse ad impadronirsi di me. Un motivo importante per fare questo tentativo era il convincimento che non avrei potuto attendermi dai miei pazienti una cosa che non avessi osato fare io stesso. La scusa che essi avrebbero avuto accanto un aiuto non era plausibile, poiché sapevo bene che il cosiddetto aiuto - e cioè io in persona - non avrebbe potuto soccorrerli se non conoscendo il loro materiale fantastico per sua diretta esperienza, e che al momento tutto ciò che invece egli possedeva erano solo alcuni presupposti teorici di dubbio valore. Molte volte, in momenti critici, mi ha aiutato il pensiero di abbandonarmi a una impresa pericolosa non solo per il mio bene, ma anche per quello dei miei pazienti.» Carl Gustav Jung

IL LIBRO ROSSO DI JUNG

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"La via della vita si snoda sinuosa come un serpente da destra a sinistra e da sinistra a destra, dal pensare al piacere, e dal piacere al pensare. Il serpente è, da un lato, un avversario e il simbolo dell’inimicizia, ma dall’altro un saggio ponte che collega destra e sinistra attraverso il desiderio, così come è necessario alla nostra vita. Il pensiero protegge dalle deviazioni, perciò porta a impietrire. Chi preferisce pensare piuttosto che sentire fa marcire nell’oscurità il proprio sentire. Non matura, ma nel marciume produce dei getti malaticci, che non arrivano alla luce. Chi preferisce sentire piuttosto che pensare lascia il suo pensiero nell’oscurità, dov’esso appende le sue reti ad angoli lerci, tele vuote con cui cattura zanzare e falene. Dunque il serpente si pone in mezzo tra chi pensa e chi sente. Entrambi sono veleno e guarigione l’uno per l’altro". Llibro Rosso, Libro Primo, Cap IX, Mistero, Incontro.

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"La vera terapia consiste nell'approccio al divino; più si raggiunge l'esperienza del divino, più si è liberati dalla maledizione della patologia." Carl Gustav Jung

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