ERA IL 4 MARZO 2020
Era il 4 marzo e non potevamo immaginare che sarebbe stato l'ultimo giorno di scuola di quello strano anno. La lasciammo in fretta e in furia la scuola, dopo la conferma della chiusura. L'aria era già pregna di paura, quella paura e quella inquietudine che come un vento arrivava dalle città del nord, dove quel maledetto virus aveva già iniziato il suo cammino di distruzione.
Ce ne andammo, in silenzio: senza un grazie, senza salutare i nostri bambini, senza salutare i colleghi, senza salutare la nostra scuola. Abbandonammo i nostri progetti, le pareti colme di cartelloni,
tra mascherine ancora del recente carnevale in mezzo a fiori e farfalle che annunciavano l'imminente primavera, con i semini messi nei vasetti a germogliare per il nostro esperimento, con i disegni nei raccoglitori, con i pastelli appuntiti nei barattoli di caffè riciclati, con il lavoretto per la festa del papà appena iniziato e mai terminato, mai consegnato.
Il cancello si chiuse alle spalle, ma noi non ci voltammo. No, nemmeno per un attimo, nemmeno per un ultimo sguardo. Nel cuore c'era tanta paura ma anche tanta speranza, la speranza di ritornare presto a scuola.
Ma così non fu. E passò la primavera... e anche l'estate.
Nel frattempo sperimentammo un altro modo di fare scuola. Tutti davanti a un pc, insegnanti e alunni, con la didattica a distanza per spiegare la grammatica, la storia e a far di conto. Le maestre della scuola dell'infanzia divennero delle grandissime esperte nella creazione di video e filmati, nel raccontare, nell'inventare storie e favole di ogni tipo.
I ragazzi più grandi seguivavano video-lezioni con i loro docenti e spesso le connessioni andavano in tilt.
Le comunicazioni erano interrotte da frasi del tipo: " Io la sento ma non la vedo", " Io la vedo ma non la sento", accompagnati da sottofondi di aspirapolveri, dal vociare di fratelli, da qualche parola di troppo dei genitori, tra pigiami e ciabatte, tra capelli arruffati e occhiaie, tra pizze e panini, tra incombenze fisiologiche impellenti.
I genitori dei bambini si ritrovarono a essere anche un po' maestri e qualcuno di loro capì l'importanza del ruolo degli insegnanti. Alcuni rimasero indietro ma tutti furono promossi.
Si andò avanti alla meglio, perché la scuola doveva andare avanti. Quel pezzo di strada, quel tempo perduto rimase per sempre sospeso nel tempo e nello spazio, e nessuno, nemmeno la speranza ebbe la forza di colmarlo, di riempire quel vuoto, di ricucire quella mancanza. Mancanza di normalità, di quotidianità, di confusione, di schiamazzi, di pianti e di sorrisi, di angosce, di abbracci, di strette di mano, di vicinanza, di inclusione, di amicizia, di sogni. Mancanza del profumo di gomme, di gessetti, di matite, di colori, di colla tra le dita. Mancanza di scuola.
di Angela Rosa Nigro