Segui Vivere Informati anche su #Facebook e #Twitter
Oltre l’ottanta per cento dell’accoglienza dei profughi ucraini è ancora sulle spalle dei privati. A quattro mesi dall’escalation del conflitto, mentre gli arrivi registrati alle frontiere toccano quota 140 mila, in Italia le cose non funzionano. Lo denunciano comuni, parrocchie, famiglie e tanti enti del terzo settore che da subito si sono caricati dei costi dell’emergenza e che tuttora li sostengono senza ricevere un soldo dallo Stato, nonostante le promesse e i fondi messi in campo dal governo. “Le famiglie ospitali che hanno aperto le loro case ai profughi non hanno ancora avuto nulla, molte sono arrabbiate e si sentono abbandonate dalle istituzioni”, spiega Fabiana Musicco, fondatrice e direttrice di Refugees Welcome che segue l’accoglienza privata di 350 ucraini. Di cortocircuiti ce n’è più d’uno, a partire dal bando della Protezione civile sull’accoglienza diffusa scaduto ad aprile, rallentato da una burocrazia che spreca milioni di euro e frustra i profughi che spesso si rimettono in viaggio verso la Polonia, altri paesi Ue o la stessa Ucraina.
Come non bastasse, dal bando sono stati esclusi i posti offerti dal terzo settore in Sicilia, Calabria e Basilicata, tuttora inaccessibili nonostante l’urgenza. “Ci sono comuni, parrocchie, famiglie che non riescono più a sostenere i costi dell’ospitalità offerta, che non possiamo sgravare perché nessuno ci autorizza a usare gli alloggi che pure già abbiamo a disposizione”, racconta Paolo Pesacane di Arci Basilicata, dove capita che gli enti paghino spese e affitto per alloggi che non possono assegnare. Col cerino in mano resta proprio quell’Italia solidale che nei mesi scorsi si è guadagnata il plauso di media e istituzioni, e che oggi si sente tradita. “Stiamo cercando di mettere a sistema questo spontaneismo”, andavano ripetendo i membri del governo a metà marzo, quando i profughi arrivati erano già 40 mila ed era chiaro a tutti che l’Italia non sarebbe stata in grado di fare la sua parte senza l’accoglienza messa in campo da amici e parenti ucraini già residenti e dalla solidarietà di molti italiani. Vista l’insufficienza dei posti nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) e nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS), il cui contributo ad oggi supera di poco le diecimila unità, l’Italia decide di adottare un modello in cui non ha mai davvero creduto, quello dell’accoglienza diffusa: alloggi indipendenti o presso famiglie private, finanziati dalla Protezione civile e gestiti dagli enti del Terzo settore che avrebbero erogato assistenza e servizi. Così, tra la febbrile ricerca di immobili da parte delle prefetture, il disordinato slancio dei comuni e le migliaia di persone sistemate negli alberghi, la palla passa alla Protezione civile che definisce regole e contributi. Il bando per i primi 15 mila posti scade il 22 aprile scorso e la risposta del terzo settore supera ampiamente le aspettative: in appena una settimana le associazioni individuano più di 24 mila posti.
ARTICOLO COMPLETO SU www.vivereinformati.org
Oltre l’ottanta per cento dell’accoglienza dei profughi ucraini è ancora sulle spalle dei privati. A quattro mesi dall’escalation del conflitto, mentre gli arrivi registrati alle frontiere toccano quota 140 mila, in Italia le cose non funzionano. Lo denunciano comuni, parrocchie, famiglie e tanti enti del terzo settore che da subito si sono caricati dei costi dell’emergenza e che tuttora li sostengono senza ricevere un soldo dallo Stato, nonostante le promesse e i fondi messi in campo dal governo. “Le famiglie ospitali che hanno aperto le loro case ai profughi non hanno ancora avuto nulla, molte sono arrabbiate e si sentono abbandonate dalle istituzioni”, spiega Fabiana Musicco, fondatrice e direttrice di Refugees Welcome che segue l’accoglienza privata di 350 ucraini. Di cortocircuiti ce n’è più d’uno, a partire dal bando della Protezione civile sull’accoglienza diffusa scaduto ad aprile, rallentato da una burocrazia che spreca milioni di euro e frustra i profughi che spesso si rimettono in viaggio verso la Polonia, altri paesi Ue o la stessa Ucraina.
Come non bastasse, dal bando sono stati esclusi i posti offerti dal terzo settore in Sicilia, Calabria e Basilicata, tuttora inaccessibili nonostante l’urgenza. “Ci sono comuni, parrocchie, famiglie che non riescono più a sostenere i costi dell’ospitalità offerta, che non possiamo sgravare perché nessuno ci autorizza a usare gli alloggi che pure già abbiamo a disposizione”, racconta Paolo Pesacane di Arci Basilicata, dove capita che gli enti paghino spese e affitto per alloggi che non possono assegnare. Col cerino in mano resta proprio quell’Italia solidale che nei mesi scorsi si è guadagnata il plauso di andavano ripetendo i membri del governo a metà marzoSistema di accoglienza e integrazioneCentri di accoglienza straordinariaaccoglienza diffusaIlbandoper i primi 15 mila posti scade il 22 aprile scorsopiù di 24 mila posti