Maria Domenica
Giosuè Carducci - Parte IV (repubblicano vs monarchico, Giambi ed Epodi, Ça ira, Opere)
Maria Domenica
"Agli amici della Valle Tiberina" poesia di Giosuè Carducci Pur da queste serene erme pendici D'altra vita al rumor ritornerò; Ma nel memore petto, o nuovi amici, Un desio dolce e mesto io porterò. Tua verde valle ed il bel colle aprico Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor; Bulciano, albergo di baroni antico, Or di libere menti e d'alti cor. E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi Discendendo da i balzi d'Apennin, Come gigante che svegliato tardi S'affretta in caccia e interroga il mattin, Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti Di su l'aride carte anelerà L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti, Balze austere e felici, a voi verrà . Fiume famoso il breve piano inonda; Ama la vite i colli; e, a rimirar Dolce, fra verdi querce ecco la bionda Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar. De i vecchi prepotenti in su gli spaldi Pasce la vacca e mira lenta al pian; E de le torri, ostello di ribaldi, Crebbe l'utile casa al pio villan. Dove il bronzo de' frati in su la sera Solo rompeva, od accrescea, l'orror, Croscia il mulino, suona la gualchiera E la canzone del vendemmiator. Coraggio, amici. Se di vive fonti Corse, tocco dal santo, il balzo alpin, A voi saggi ed industri i patrii monti Iscaturiscan di fumoso vin: Del vin ch'edúca il forte suolo amico Di ferro e zolfo con natia virtú: Col quale io libo al padre Tebro antico, Al Tebro tolto al fin di servitù. Fiume d'Italia, a le tue sacre rive Peregrin mossi con devoto amor Il tuo nume adorando, e de le dive Memorie l'ombra mi tremava in cor. E pensai quanto i tuoi clivi Tarconte Coronato pontefice salì, E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte, Di leggi e d'armi il popol suo partì; E quando la fatal prora d'Enea Per tanto mar la foce tua cercò, E l'aureo scudo de la madre dea In su l'attonit'onde al sol raggiò; E quando Furio e l'arator d'Arpino, Imperador plebeo, tornava a te, E coprivan l'altar capitolino Spoglie di galli e di tedeschi re. Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor; Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi, L'agnel ti salta e túrbati il pastor. Meglio cosÃ, che tra marmoree sponde Patir l'oltraggio de' chercuti re, E con l'orgoglio de le tumid'onde L'orme lambire d'un crociato piè. Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni Che la vergogna dura: or via, non piú. Ecco, un grido io ti do—Morte a' tiranni —; Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu. Portal con suono ch'ogni suon confonda, Portal con le procelle d'Apennin, Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda Dal gran monte plebeo, da l'Aventin. Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta: Allor chi fia che la vorrà infrenar ? Cento schiere di prodi a la vendetta Da le tue valli verran teco al mar. Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se piú tardi, Romito e taumaturgo esser vorrò: Da la faccia de' rei figli codardi Ne le tombe de' padri io fuggirò. Con l'arti vo' che cielo o inferno insegna Da questi monti il foco isprigionar, E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna, Al Campidoglio vile io vo' mandar.
Maria Domenica