Maria Domenica
Maria Domenica
A Giovanni Battista Pagani - I Sermoni Perché, Pagani, de l'assente amico Non immemore vivi, il ciel ti serbi Sano e celibe sempre: or breve al tuo Di me benigno interrogar rispondo. Valido è il corpo in prima, e tal che l'opra Non chiegga di Galen; men sano alquanto Il frammento di Giove; e non è rado Che a purgar quei due morbi, ira ed amore, O la smania d'onor mi giovin l'erbe De l'orto Epicureo. Che se mi chiedi A che l'ingegno giovanetto educhi: Non a cercar come si possa in campo Mandar più vivi a Dite, o con la forza Nel robusto cerebro ad un volere Ridur le mille volontà del volgo; Ma misurar parole, e i miei pensieri Chiuder con certo pie', questa è la febre, Da cui virtù di Farmaco o di voto Non ho speranza che sanar mi possa. Pensier null'altro io m'ebbi in fin d'allora Che a me tremante il precettor severo Segnava l'arte, onde in parole molte Poco senso si chiuda; ed io, vestita La gonna di Vetturia, al figlio irato Persuadea coi gonfi sillogismi Che, posto il ferro parricida, amico E umil tornasse e ripentito a Roma, Allor sol degno del materno amplesso. Me da la palla spesso e da le noci Chiamava Euterpe al pollice percosso Undici volte; né giammai di verga Mi rosseggiò la man perché di Flacco Recitar non sapessi i molli scherzi O le gare di Mopso, o quel dolente: "Voi che ascoltate in rime sparse il suono". Ed or, di pel già asperso il volto e quasi Fra i coscritti censito, in quella mente Vivo; e quant'ozio il fato e i tempi iniqui A me concederanno ho stabilito Consecrarlo a le Muse. Or come il mio Furor difenda, o dolce amico, ascolta. "Il Savio è re, libero, bello e Giove", Zenon barbato insegna; or, perché pari Temeaci a lui, quel buon Figliuol di Rea Temprò di molta insania il divo foco, Onde il Deucalioneo selce s'informa. Quindi brama talun che dal suo muro pendan avi dipinti; altri che a lui Ridan da l'arca impenetrabil molti Cesari fulvi; altri a l'avita Pale Nato in capanna umil vorria la veste Sparger d'oro pretorio. Odi quest'altro: Oh s'io posso il mio tetto alzar sul fumo De l'umile vicino, e nel palagio Entrar da quattro porte! E quei che tenta Eccelsi fatti, onde del figlio il figlio Di lui favelli; e seminar s'affanna Ciò che raccolga ne la tomba? E sano Direm colui, che di precetti spera Far sano il mondo? A me più mite forse Giove impose il far versi; a che la mente Di sì bella follia purgar mi curo, Onde ad altra nocente, o men soave Dare il voto cerebro e il docil petto? Or ti dirò perché piuttosto io scelga Notar la plebe con sermon pedestre, Che far soggetto ai numeri sonanti Opre d'antichi eroi. Fatti e costumi Altri da quel ch'io veggio a me ritrosa Nega esprimer Talia. Che se propongo Dir Penelope fida e il letto intatto De l'aspettato Ulisse, ecco a la mente Lidia m'occorre, che di frutti estrani Feconda l'orto del marito, cui Non Ilio pertinace o il vento avverso, Ma il prego mattutino o l'affrettata Visita de l'amico, o il diligente Mercurio tiene ad ingrassare il censo De l'erede non suo. L'imprese appena Tento di Cincinnato e il glorioso Ferro alternato alla callosa destra O i Legati di Pirro innanzi al duro Mangiator del magnanimo Legume, Tosto Fulvio rammento, il qual pur jeri Villano, oggi pretor, poco si stima Minor di Giove, e spaventarmi crede Con la forzata maestà del guardo. Che se dirai, che di famose gesta Non men che al tempo di quei prischi grandi Abbonda il secol nostro, io lo confesso: Ma non ho voce onde a cantare io vaglia Le battaglie, le Leggi, e i rinnovati Fra noi Greci e Quiriti, e quella cieca Famosa falce, che trovò l'acuto Gallico ingegno, onde accorciar con arte La troppo lunga in pria strada di Lete.
Maria Domenica