Maria Domenica
Poesia "Eligia del Monte Spluga" di Giosuè Carducci No, forme non eran d'aer colorato né piante garrule e mosse al vento: ninfe eran tutte e dee. E quale iva salendo volubile e cerula come velata emerse Teti da l'Egeo grande a Giove: e qual balzava da la palpitante scorza de' pini rosea, I'agil donando florida chioma a l'aure: e qual da la cintura d'in cima a' ghiacci diasprati sciogliea, nastri d'argento, le cascatelle allegre. Sola in vett'a un gran masso di quarzo brillante al meriggio in disparte sedevi, Lorely pellegrina : solcavi l'aurea chioma con l'aureo pettine, lunga la chioma iva per l'alpe, vi ridea dentro il sole. In un tempio a larghe ombre di larici acuti le Fate stavan, occhi fiammanti ne la gemma de' visi: serti di quercia al crine su le nere clamidi nero, scettri avean d'oro in mano: riguardavano me. Orco umano, che sali da' piani fumanti di tedio, noi la ti demmo : aveva gli occhi color del mare. Or tu ne vieni solo. Che festi di nostra sorella? I'hai divorata?- E fise riguardavan pur me. No, temibili Fate, no, soavi ninfe, lo giuro: ella è volata fuori de la veduta mia. Ma la sua forma vive, ma palpita l'alma sua vita ne le mie vene, in cima de la mia mente siede. Con la imagine sua dinanzi da gli occhi tuttora che mi arde, con la voce che dentro il cor mi ammalia, suono di primavera su 'I tepido aprile dormente, erro soletto il mondo, tutto di lei l'impronto. Ecco, voi Fate e ninfe, paretemi, e siete, lei sola: anzi in mia visïone v'ho create io di lei. Ma ella dove esiste? - Lamenti scoppiarono, e via sparver le ninfe in aria, via sotterra le Fate. E vidi su gli abeti danzar li scoiattoli, e udii sprigionate co' musi le marmotte fischiare. E mi trovai soletto là dove perdevasi un piano brullo tra calve rupi: quasi un anfiteatro ove elementi un giorno lottarono e secoli. Or tace tutto: da' pigri stagni pigro si svolve un fiume : erran cavalli magri su le magre acque: aconìto, perfido azzurro fiore, veste la grigia riva.
Maria Domenica
Maria Domenica