Fiore di Loto
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I miei piedi avanzano nell’acqua. Non sentono la temperatura della notte scontrarsi con quella del mio corpo. La mia mente è soggiogata dal traghettatore che, fermo sull’imbarcazione, mantiene stabile la mano protesa verso di me come un richiamo. La mia mente è assente, è come sospesa in un altro mondo, mentre il mio corpo procede il suo percorso in questo. Nel frattempo che le due parti di me esistono in piani differenti, io avanzo verso di lui. Il suo richiamo, assopito in tutti questi anni, torna in vita con estrema prepotenza in me, tant’è che sono ormai a metà strada dal bordo della sua barca. A differenza dell’ultima volta i miei piedi non sono affondati sul fondale, ma camminano sul pelo dell’acqua, come se il mare si fosse solidificato al mio passaggio per non farmi bagnare e infreddolire. Mi domando se questa accortezza provenga da lui, dal traghettatore, che sta aspettandomi con la mano protesa verso di me. Magari sbaglierò, ma ho come la sensazione che sia in ansia. Non sono ancora così vicina da scorgere ciò dal suo sguardo, ma qualcosa me lo fa percepire. Dall’oceano sento provenire una brezza che scolpisce le mie vesti sul mio corpo. I capelli danzano sotto le mani birichine del venticello. Automaticamente scosto le ciocche che mi coprono il volto, mentre procedo con passo lento verso la figura che mi attende. Mano a mano che procedo il vento si alza e mi fa retrocedere di qualche passo. In lontananza la mia mente percepisce una voce. È la voce del vento che tenta di farmi tornare sui miei passi o di farmi rallentarmi il tempo necessario affinché mi parli. Sono confusa e sconcertata. Mai prima d’ora avevo pensato che un giorno avrei potuto comunicare con il vento, mio habitat prediletto. Il traghettatore, percependo l’intromissione, cerca di far avanzare il tappeto d’acqua che mi sostiene per farmi avvicinare a lui rapidamente, affinché il suo “potere” non venga indebolito. È così strana questa situazione. Ad ogni tentativo di trascinarmi in avanti da parte del traghettatore, che orchestra con maestria il mare, il vento sferza un colpo facendomi retrocedere. Così, in mezzo ai due elementi dominanti, il mio corpo è fermo nel suo procedere. Questo tira e molla da parte di essi provoca ferite sul mio corpo, che lentamente inizia a lacrimare tingendo i miei indumenti. Le macchie non vengono percepite a causa dell’oscurità che ci avvolge tutti. Nel frattempo il vento mi parla, ma la sua voce è un insieme di emozioni e sensazioni che sono chiare come parole pronunciate. Comprendo il suo intromettersi in questioni al di fuori dei suoi compiti. Lo ringrazio per essersi interessato a me, ad un comune essere vivente senza nessuna particolarità che mi renda speciale o diversa dagli altri. Grazie ad esso la mia mente si è ricongiunta al corpo. Ora sono io a decidere le mie azioni. Sollevo lo sguardo per incrociare quello del traghettatore. Avvertendo di aver perso il suo potere ipnotico su di me la sua mano perde leggermente la presa sulle acque che mi sorreggono, ma rapidamente ne riprende il controllo per non farmi immergere. Mi osserva pensieroso, non sapendo come agirò. È in ansia. Percepisco la frustrazione del dubbio che lo avvolge.
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Acqua dolce solca il mio viso e lentamente lo percorre interamente. Il mio desiderio è che essa perduri, mossa dall’aria spostata da pale elettriche. Ahimè essa troppo velocemente muore inaridendo lungo l'età del mio essere. Così continuo a tenere aperti gli occhi, In quanto l’aria rovente non concilia la mia amicizia con Morfeo
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