Perché molte zone d'Italia sono a rischio alluvione?
2018-06-22 06:54:47
Molte zone d’Italia sono spesso soggette ad alluvioni a causa dell’assetto idrogeologico del nostro Paese che, nel corso dei decenni, è stato fortemente compromesso: l’aumento delle inondazioni sul nostro territorio è legato in parte a piogge torrenziali molto intense, che negli ultimi venti anni si sono presentate con maggiore frequenza rispetto al passato.
A volte la pioggia cade in condizioni eccezionali, ma non è certo la sola causa che provoca tanta devastazione: la progressiva urbanizzazione a ridosso dei corsi d’acqua, l’abusivismo edilizio, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente e la mancata manutenzione degli argini hanno accentuato la fragilità del territorio italiano.
Secondo uno studio del Consiglio Nazionale dei Geologi, 6 milioni di italiani vivono in zone ad alto rischio idrogeologico: gli ultimi 80 anni di storia italiani sono stati testimoni di 17000 alluvioni e frane, con danni che superano addirittura i 25 miliardi di Euro.
Il Ministero dell’Ambiente focalizza l’attenzione su questa grave emergenza nazionale, sostenendo che la lotta contro il dissesto idrogeologico è uno dei più grandi investimenti infrastrutturali che il Paese dovrebbe assolutamente affrontare.
L’Italia si è sviluppata su un territorio fragile, reso sempre più debole dai cambiamenti climatici ma soprattutto dall’incoscienza dell’uomo e da anni di incuria e eccessive speculazioni.
I terremoti sono provocati da spostamenti di gigantesche masse rocciose nel sottosuolo, che liberano enormi quantità di energia: questi movimenti del suolo ci ricordano che la superficie terrestre non è immutabile ma poggia su una base magmatica e instabile.
Quando due placche tettoniche si muovono l'una verso l'altra tendono a deformarsi e ad accumulare energia in alcuni punti di frattura, chiamati faglie: se la tensione aumenta questi enormi blocchi rocciosi si spostano bruscamente e liberano la forza accumulata, che si propaga in superficie, scatenando delle scosse.
Ogni fenomeno sismico è segnato da due fuochi: un ipocentro, che corrisponde al punto in cui è avvenuta la frattura in profondità, e un epicentro (il punto della superficie terrestre in cui il sisma si manifesta nel modo più violento).
Il parametro più utilizzato per misurare l'intensità di un evento sismico è la Scala Richter: si tratta di un'unità di misura logaritmica, ciò significa che un terremoto di grado 5 è circa trenta volte più forte di uno di grado 4. Ad oggi, il terremoto più potente mai registrato ha raggiunto il grado 9.5 della Scala Richter, ed è avvenuto in Cile nel 1960.
Uno degli stati a più alto rischio sismico è la California, che da sempre si trova a dover fare i conti con violente manifestazioni telluriche: questo dipende dal fatto che il 75% dell’energia sismica del pianeta viene rilasciata al margine del bacino del Pacifico e San Francisco si trova proprio sul confine tra la placca Nordamericana e quella Pacifica.
La particolare struttura geologica della zona è conosciuta come Faglia di Sant'Andrea: si tratta di un enorme taglio nella crosta terrestre che percorre la California, dal Messico fino a Nord di San Francisco.
Anche il Giappone è un territorio soggetto a violenti terremoti ma negli anni i giapponesi hanno cercato di migliorare con ostinazione le tecniche antisismiche, ottenendo ottimi risultati.
Oggi l'intero pianeta è costantemente monitorato da sismografi, che rilevano sotto forma di onde le vibrazioni della terra ma, nonostante questo, non è possibile prevedere il momento esatto in cui si scatenerà un sisma.
La migliore difesa dai terremoti? La prevenzione, sia attraverso l’applicazione di rigide norme antisismiche sia con l’addestramento di chi risiede nelle zone a rischio.