Luca Orrù

Founder Junior

Tutti conosciamo la storia di Abebe Bikila, maratoneta etiope famoso per aver vinto la maratona dei Giochi Olimpici di Roma del 1960 a piedi scalzi. Quello che forse non sapete sono i motivi che lo portarono a correre scalzo e che lo spinsero a dare tutto se stesso per vincere quella gara. Gara che per la cronaca non avrebbe neanche dovuto correre. Ma andiamo con ordine. La nazionale etiope era composta da quattro atleti e lui fu chiamato a sostituire uno di loro infortunatosi poco tempo prima della partenza per Roma. Era la guardia del corpo personale dell'imperatore Hailé Selassié e fu proprio quest'ultimo ad obbligare l'allenatore svedese della nazionale africana (che nel frattempo aveva maturato la convinzione di schierare solo tre atleti visto che sarebbe stato difficile trovarne un altro all'altezza in poco tempo) ad aggiungerlo alla squadra. Partì quindi insieme al resto dei compagni alla volta di Roma. Dopo i primi allenamenti sul posto però si accorse che il paio di scarpe che gli fornì lo sponsor tecnico della manifestazione non gli calzava perfettamente, a tal punto che gli si formò una vescica sotto un piede. Per evitare questo tipo di problema anche in gara prese la curiosa decisione di correre a piedi nudi. Venne il giorno della gara e il suo allenatore gli chiese di tenere d'occhio il favorito alla vittoria finale, il marocchino Rhadi Ben Abdesselam. Avrebbe dovuto tallonarlo almeno fino a metà gara per permettere nel frattempo ai suoi compagni di squadra di raggiungere un certo ritmo. Questi ultimi lo avrebbero sorpassato dopo metà corsa e avrebbero provato a vincere la manifestazione. A sua insaputa praticamente sarebbe diventato quello che nella maratona odierna viene definito "lepre". Il suo avversario avrebbe dovuto indossare la pettorina numero 26 ma per qualche motivo invece indossò la numero 185. Questo confuse Bikila che continuò a girarsi per controllare il pettorale di ogni atleta alla ricerca del numero 26. Pensando che fosse scattato in fuga allora si mise a correre più velocemente possibile per cercare di raggiungerlo. Ma in realtà Rhadi era proprio accanto a lui. I due rimasero attaccati fino all’ultimo chilometro, quando Bikila ha fatto partire una progressione inarrestabile che lo ha portato alla vittoria stabilendo il nuovo record del mondo in 2h15’16”. La cosa incredibile è che l'atleta etiope rimase convinto fino alla fine che il numero 26 fosse arrivato davanti, motivo per il quale quando taglia il traguardo più che essere felice sembra deluso e sembra quasi voler chiedere scusa per aver fallito l'obiettivo che gli era stato affidato.

Luca Orrù

Founder Junior

Il cavallo delle Ardenne è considerato una delle razze più antiche tra i cavalli, pare sia un discendente diretto del cavallo preistorico.

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Luca Orrù

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Spesso qui si parla di magnificenza, di cose, persone, eventi, fuori dall'ordinario, per questo vi propongo un aneddoto su un uomo che ha applicato allo sport, al basket, il concetto di magnificenza pura. Quest'uomo è Michael Jordan. Per i profani di basket, l'evento più importante del campionato NBA sono le "NBA Finals", giocate al meglio delle 7 gare, chi tra le due finaliste vince 4 partite, vince il titolo. NBA Finals 1997, i Chicago Bulls di MJ contro gli Utah Jazz di una delle coppie più forti che il gioco abbia visto, Stockton e Malone. La serie è ferma sul 2-2 e gara 5 si gioca in casa Jazz. La sera prima della partita Michael ordina cinque pizze per sé e lo staff, il preparatore atletico non è molto convinto dell'aspetto di quelle pizze, non le mangia e raccomanda lo stesso alla stella NBA che non lo ascolta perché lui quella sera "ha voglia di pizza". Alle 3 del mattino squilla il telefono dello stesso preparatore, è Michael dalla sua suite, gli dice di far presto perché pensa di essere sul punto di morire. Giunto in camera lo trova rannicchiato sul letto, dopo aver vomitato tutto ciò che poteva, disidratato e con tutti i sintomi di una importante intossicazione alimentare, febbre compresa (nell'ambiente serpeggiò l'idea che le pizze fossero state manomesse da qualcuno che sapeva chi le avrebbe mangiate). Lo staff medico viene allertato e fa di tutto ma Michael resta in condizioni pietose e, come già detto, il giorno dopo si gioca, fuori casa, una fondamentale gara 5. Si continua con farmaci, fluidi e sali minerali anche per tutto il giorno successivo ma Michael trova la forza di alzarsi dal letto solo a pomeriggio inoltrato. Nonostante ciò, però, si fa portare al palazzetto, più tardi del resto della squadra, quasi subito prima del match, ha deciso di andare ad ogni costo; passa i minuti a bordo campo prima del fischio iniziale completamente immobile con un asciugamano sulla testa. Ed è proprio al fischio iniziale che si scrive un altro capitolo di storia; Jordan parte titolare con 38 di febbre, gioca una partita sontuosa, di dominio assoluto mettendo a referto, ironia della sorte, 38 punti e vincendo gara 5, i Bulls vinceranno poi anche gara 6 e con essa il titolo. La partita fu consegnata agli annali come il "Flu Game", match della febbre. Aneddoto nell'aneddoto, Michael autografò le scarpe che indossava e le regalò ad un raccattapalle del palazzetto il quale, anni dopo, le mise all'asta vendendole a 125 mila dollari. Le foto rappresentano due momenti iconici di quella leggendaria partita. "Non importa quanto fossi malato, quanto fossi stanco. Sentivo il dovere nei confronti della mia squadra, nei confronti della città di Chicago di dare ancora di più. In qualche modo ho trovato le energie per rimanere forte."

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