Italia da scoprire

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Madonna della Corona, un Santuario italiano incastonato nella roccia, raggiungibile attraverso un antico sentiero dei pellegrini. Per ammirarlo occorre recarsi a Ferrara di Monte Baldo, in provincia di Verona, per la precisione nella località di Spiazzi. È qui che sorge una delle strutture più suggestive d’Italia, che dà l’impressione d’essere sospesa in aria. Incastrata nella roccia, sembra quasi opera naturale, partorita dalla terra. La parete rocciosa cinge il terrazzo, dal quale è possibile ammirare lo strapiombo, a 775 metri d’altezza, sito sulla valle. Ogni anno migliaia di pellegrini raggiungono il Santuario, così come tantissimi turisti, italiani e stranieri. Per ritrovarsi dinanzi alle sue porte d’ingresso è necessario passare attraverso un cammino specifico, decisamente panoramico. Viene definito Sentiero della Speranza e parte dal paese di Brentino Belluno. Da qui si arriva a una scalinata alquanto lunga, dopo la quale ecco apparire lo splendido edificio storico. Se in passato soltanto i pellegrini e i devoti erano soliti percorrere il sentiero, il numero di turisti è andato aumentando di anno in anno, come detto. In tanti si concedono lunghe passeggiate o sessioni di trekking, approfittando dei meravigliosi 2.5 chilometri per raggiungere il Santuario. Mappa: Santuario Madonna della Corona Vicolo Santuario, 1, 37020 Ferrara di Monte Baldo VR 045 722 0014 https://goo.gl/maps/sf19ZAkpAbC3tR239

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Rasiglia un borgo incantato

2020-05-24 07:11:33

Rasiglia sembra una piccola Venezia dell’Umbria sono circa 40 i fortunati abitanti che si godono questa fiaba tutti i giorni. Alle casette di pietra si alternano mulini e specchi dacqua formati da ruscelli e cascate, difficile non innamorarsi subito..

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A Castelsardo, il borgo in provincia di Sassari dal quale si riesce ad abbracciare tutte le coste del golfo dell’Asinara, esiste una roccia erosa dal tempo e dal vento e domina la vallata che, scendendo a strapiombo in direzione Valledoria, arriva al livello del mare. Si tratta della Roccia dell’Elefante, un grosso masso di roccia vulcanica (la trachite e l’andesite) dal forte color ruggine, notevolmente eroso dagli agenti atmosferici che gli hanno conferito il singolare aspetto di un pachiderma seduto. Originariamente il masso faceva parte del complesso roccioso di monte Castellazzu dal quale si distaccò rotolando a valle. Si narra che l’antica Valledoria, allora denominata Codaruina, fosse un’area molto attiva e popolosa, ma che per via di un cataclisma o di un maremoto venne sepolta e dimenticata per sempre. A confermare questa leggenda sarebbero dei resti di conchiglie e sedimenti marini fossili presenti sulla superficie della roccia e intorno alle montagne circostanti, anch’esse ricche di testimonianze fossili di origine marina. Di recente la Roccia dell’Elefante è entrata a fa parte della lista dei cosiddetti “oggetti fuori dal tempo”, nella quale rientrano tutti quegli oggetti, monumenti, rocce naturali o bassorilievi che non sarebbero dovuti esistere, perché il loro aspetto rappresenta qualcosa di troppo complesso da fabbricare o realizzare se rapportato all’epoca in cui hanno avuto origine. Oggi la Roccia dell’Elefante, oltre a costituire un’importante attrazione turistico-paesaggistica, riveste anche una notevole rilevanza archeologica grazie alle sue due domus de janas, strutture sepolcrali preistoriche costituite da tombe scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica (il periodo precedente alla civiltà nuragica, che va dal VI millennio a.C. alla fine del III millennio a.C.). Si presume che le camere interne siano state scavate in due momenti diversi dagli Sherdana o Sherden, una delle popolazioni facenti parte della coalizione dei popoli del mare che spesso è identificata con il popolo degli antichi Sardi, per utilizzarle come tempio rituale. La domus superiore, la prima ad essere scavata, presenta soltanto tre vani e manca del padiglione coperto che la precedeva, probabilmente crollato insieme al prospetto della tomba. La seconda camera, situata al di sotto, risulta invece molto ben conservata. Originariamente preceduta da un dromos, un breve corridoio in parte coperto e in parte a cielo aperto, vi si accede attraverso uno stretto portello quadrangolare e presenta quattro vani.

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