Enzo Zevini

Top Founder President

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Tra una speranza e una promessa il tempo passa nell'attesa che qualcosa si manifesti: una passione, un amore, la realizzazione di un sogno. L'urgenza succhia aria dai polmoni stanchi, strappa desideri che perdono colore, sbiadiscono come luci al neon che sfrigolano di corrente usata a vuoto, fiaccata da fallimenti e sensi di colpa di chi avrebbe voluto stralci di vita che non sono stati, gettando ombre anche dove buio non c'è. Fermi nell'attesa che la vita ci restituisca quello che ingiustamente ci ha tolto. Non sono le sconfitte, ma il dubbio che mettiamo al nostro valore, Il pensiero di non valere abbastanza che si insinua sordo in ogni strato del nostro essere. Il ripetersi quanto siamo sbagliati o quanto la vita è stata ingiusta rischia di diventare una verità che verità non è, ma soltanto una cattiva abitudine. Le menzogne che ci raccontiamo sono come acido che corrode l'anima fino a spegnere la luce. Anche se solo un tizzone sotto la cenere ancora illumina flebile la notte nel freddo dell'inverno, vale sempre la pena continuare a soffiare. Foglinediti

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Era mio padre Ricordo il freddo pavimento di ceramica sotto i piedi appena scendevo dal letto. Fuori era ancora buio. Correvo in cucina: sul tavolo, esposti come in una vetrina di un negozio di giocattoli, i doni portati dalla Befana. Erano tanti ma io ne potevo avere solo uno. Rimanevo incantato per un'ora, forse due, incapace di scegliere: fino a quando mia madre entrava in cucina per mettere la moka sul fuoco preparata la sera precedente. Ancora oggi il sei gennaio, per me è gioia, odore di caffe e sapore di carbone nero zuccherato. Preso il regalo, mi vestivo e scendevo in strada dove incontravo i miei amici, felice di mostrare il dono ricevuto e curioso di vedere il loro. In tarda mattinata, quando rientravo, dei giocattoli non scelti, quelli lasciati sul tavolo, non c'era più traccia. Quando ho smesso di credere alla Befana, mi ero convinto che i miei genitori avessero un amico giocattolaio, e passata l'Epifania restituissero i giochi al legittimo proprietario. Era questo il mio pensiero, fino a dieci anni fa, quando lo chiesi a mia madre. - Della Befana si occupava tuo padre, - mi disse. - Appena andavi a dormire allestiva il tavolo della cucina con cura maniacale. Poi andavamo a dormire. Quando tu avevi scelto ti invitava a uscire di casa. Lui rimettava tutto nei cartoni, li caricava in macchina e li portava in un istituto, un orfanotrofio. Credo di aver conosciuto mio padre quando ormai non era più in vita. Il mio ricordo è quello di un uomo rigido, inflessibile e autoritario. L'ho visto ridere la prima volta che avevo undici anni, quando è nato il figlio di mia sorella. Fino a quel momento credevo non ne fosse capace. Era mio padre.

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C'era un tempo, neanche tanto lontano, dove in questo giorno ero solito tirare le somme dell'anno che si stava concludendo. Un' analisi di cosa era andato bene e cosa no. Controllavo i segni più, o meno, in quello che ritenevo il vero indice di felicità: il fatturato. Se l'anno era stato buono, neanche il tempo di misurarla questa felicità che già ero proiettato a nuovi obiettivi, a nuovi progetti da realizzare, nuove sensazioni a cui dover dare l'ennesima dose di speranza di un futuro migliore: ego da gonfiare per sentirmi vivo. Non lo faccio più, e non perché sia del tutto sbagliato fare progetti o lavorare per migliorare la propria situazione economica. Non lo faccio perché non è producente farlo, un prezzo troppo alto da pagare in termini di qualità della vita. Ho imparato a vedere l'esistenza da ben altre prospettive, considerandola il dono più prezioso, lontano dal se ottengo risultati allora valgo. La vita è un intero, con i suoi alti e bassi, con le sue dosi di gioia e tristezza, felicità e disperazione, indivisibile, a volte sorprendente. Qualche anno fa ho deciso di scegliere, ecco, la scelta è la mia nuova prospettiva di vita: scegliere dove, con chi, e a cosa voglio dedicare il mio tempo, e non solo il primo gennaio, ma ogni giorno. Credo che questo sia stato il miglior risultato che ho raggiunto negli ultimi anni, darmi la possibilità di scegliere, assumermi la responsabilità, per quanto a me concesso, di vivere nella maniera più consona, più somigliante alla mia natura. Il paradosso, è che i risultati migliori si materializzano quando decidi di smettere di voler ottenere le cose, sapere che non si approda a niente di soddisfacente se non impariamo a sentire cosa siamo e cosa ci muove nel profondo. Il risultato vero è nel percepire quella tanto agognata felicità. Non vi auguro un meraviglioso 2020: vi auguro di trovare la strada che riporta a voi stessi, e una volta tornati lì che non vi perdiate mai più. Vi auguro un felice ritorno a casa, la vostra.

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