Francesca Amato

Non ti conoscevo, non ci siamo mai visti e parlati, ma oggi il tuo bel viso, due grandi occhi chiari, il sorriso dolce, è arrivato sulla mia bacheca e il cuore mi si è stretto in petto... per me, che vengo da un paesino, l'autorità e la legalità sono tutte in quella divisa nera e rossa, nel mantello del capitano durante le processioni... la caserma come un formicaio, i sabati notte da adolescente, il posto di blocco alla Croce "Abbiamo bevuto?!" "Brigadiere, voi non lo so,ma noi no!" e la faccia dietro la divisa si sforzava di rimanere seria, ma gli occhi ridevano "Se vi vediamo, passare ancora, chiamo a tua madre, Francesca", ma poi passavamo e mamma non la chiamavate mai. La sera tornavo a casa a piedi e nella stradina buia sapere che eravate lì a due passi mi faceva sentire sicura, ancora oggi se incrocio i carabinieri sorrido e saluto e in testa ringrazio, sempre, perché se qualcuno mi minaccia posso gonfiare il petto e dire "Ora chiamo i carabinieri" e ridivento una bambina, col calendario nella stanzetta regalato dal capitano e quella divisa è meglio del mantello di superman, così stamattina guardo quel viso buono, saluto e ringrazio, sempre, perché alle volte diamo per scontate persone che ci difendono ogni giorno pagando spesso un prezzo troppo alto.

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Francesca Amato

Le città sono i loro vicoli, puzza di pietre vecchie e piscio, di ragù e panni stesi, di una povertà antica, che abita là da sempre…stretti e pulsanti come vene, brulicanti di voci e vita di giorno, la sera vuoti…sulle pietre il rumore dei nostri passi, accanto tu e io, così simili, in silenzio, passi e battiti, tu col bicchiere in mano e quel modo di abbracciarmi forte con una solo braccio, guardandomi dall’alto, quel modo di baciarmi che mi strappava l’anima…noi abituati a fabbricare parole, muti, la voglia addosso come un vestito, sulle pietre, sui muri ancora caldi, con lo spavento che arrivasse qualcuno…come ragazzini dentro un portone, come animali nella loro giungla di pietra e di immondizia. Quelle lunghe domeniche a casa, il mondo fuori nel vicolo, quella sete infinita che non si saziava mai, per noi troppo ubriachi di vino e di vita….siamo pazzi, sussurravi e io ridevo, mi sentivo pazza e viva, eri come un temporale, non sapevo mai quando saresti arrivato né quando saresti andato via, mi limitavo a correre nuda sotto la pioggia sperando che finisse o che durasse per sempre. Tu, con quel dono di far sentire le donne bellissime e speciali, una storia d’amore ad ogni portone, una storia nera e sporca su ogni centimetro di pelle e di vita, dall’alto del mio balcone, sulla mia casa colorata arrampicata sui tetti, ti aspettavo come si aspetta un acquazzone d’estate, sorridendo, perché in fondo lo sapevo che quella speciale davvero ero io, che speciali eravamo noi, coi nostri silenzi, i miei colpi di testa e la tua pazienza con questa bambina che voleva tutto e subito, capricciosa, golosa, intrattabile…le città sono i loro vicoli, i miei passi di donna, sola, quindici anni più tardi, i passi di chi ha smesso di aspettare, di chi in fondo sa che non pioverà più…bicchiere di vino in mano, una carezza a un bambino che passa gridando, a piedi nudi…fa caldo oggi e nell’aria una vaga promessa di temporale…. ( Francesca Amato)

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Francesca Amato

Una volta eravamo due estranei Mentre eravamo estranei si doveva decidere come procedere e se baciarsi. Baciarsi, tipo che non l’avevamo mai fatto prima. Come quando non sai se la tua lingua è uno strumento di piacere o un ostacolo o semplicemente un accessorio che può anche restare fuori dalla scena. E insomma, dovevamo baciarci. Non s’era mica programmato, no. Era nell’aria e nei gesti che diventavano ondulati e incerti, sotto una specie di sole, ma, più che un sole, un uovo alla coque nel cielo. Stavamo quasi per baciarci, ma era troppo. Per alleggerire quel troppo si fumò una sigaretta. Eravamo estranei, ma si fumava per esorcizzare proprio ciò che eravamo e che non potevamo accettare. Si fumò una sigaretta in due, perché tu le avevi finite e i soldi per noi con la presunzione di vivere d’arte erano sempre pochi, anche allora. Un tiro ciascuno. Che era un po’ già darsi un bacio e mischiare qualcosa e dirsi sotto sotto: vorrei che questa sigaretta fossi tu, tutto intero, tutta intera, dedicati, persi e devoti. Mi dicesti: “alla fine della sigaretta, mi dirai se posso baciarti”. Io feci la dura e aspirai più forte, quasi a dirti: “guarda che decido davvero e poi tocca a te, perché tu sei il maschio, io la femmina e lo sai che si dice che è tutta responsabilità tua se il bacio viene una merda imbarazzante”. La sigaretta stava per finire. Cenere dappertutto e ancora occhi altrove, senza sapere che fare. Allora ti lasciasti andare in una risata che era tutto e io quella risata non l’ho mai scordata. “Stai per fumarti pure il filtro”. mi hai detto, con quello sguardo da lupo buono, divertito…quello sguardo che solo al mondo mi ha mai fatta sentire bella. La feci cadere, quella sigaretta, smarrita, risentita, piena di desiderio. La tua bocca io me la ricordo ancora. Amara e tremante, drogata di poesia e di giorni che poi non avremmo vissuto. Continuo a fumare solo per questo, credo. Per replicare quel momento all’infinito, nei giorni che non vivremo mai. ( Francesca Amato)

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