Francesca Amato

Le cose si imparano mentre si imparano. Non prima né dopo. Non c’è neanche un secondo di margine per arricciarsi i capelli o accertarsi che la schiena sia dritta. È tutto spaventosamente in diretta. Così, quella volta, mentre tentavo di fare la donna, cercando di entrare in contatto col mio istinto, mi trovavo davanti a una libreria in centro e indossavo un vestito che lasciava poco all’immaginazione, sopra un fisico che decisamente non poteva permetterselo. Tra le cose che impari in diretta, non prima né dopo, c’è che, quando cammini sui tacchi con la grazia di un cerbiatto appena nato è meglio ripiegare sulle scarpe basse, perché io a fare la donna in fondo non ho mai imparato, non le so tutte quelle strategie, io mi confondo pure col Risiko, io non so aspettare, io in preda alla golosità di vita faccio cose, chiamo, lancio petardi, scrivo e sti cazzi. Pensavo a come starti seduta di fronte senza agitare troppo le mani o mostrare troppo i denti, senza scuotere la testa come Steve Wonder mentre canta “I just called to say I love you”, senza sporcarmi mentre bevevo o mangiavo, tentando di soffocare la mia risata polifonica, stretta in quel tubino rosso che non era affatto me, cercando disperatamente di fare la signora e risultando indistintamente sempre io, Mafalda…saccente e polemica, secchiona e imbranata davanti a te, uno di quei tipi che al liceo con me avrebbero parlato solo per farsi passare la versione. Ho ordinato un whisky a voce bassa, come se mi vergognassi, tu, ovviamente acqua tonica, in pratica sei uscito con il capitano di una nave pirata. Avevo la borsa piena di regali(sei uscito con la Befana più che altro), un po’ perché amo la faccia delle persone a cui voglio bene mentre li scartano, un po’ perché io l’amore, il bene, l’affetto ho sempre pensato di dovermeli guadagnare. Mentre mi impegnavo a fare la donna, tu semplicemente mi hai dato un bacio, netto, dolce e veloce, quei baci pieni di affetto che tra di noi sono un’abitudine segreta solo nostra, quei baci che io credo sempre di non meritare perché dentro non mi sento mai all’altezza e tu un po’ lo sai e mi prendi in giro, mentre cerco di darmi un tono e mi muovo frenetica come Don Chisciotte davanti ai mulini a vento. Tenevo tra le mani il mio bicchiere di whisky che era mille volte più elegante delle mie orride mutande a motivi di pecorelle fosforescenti, visibili attraverso il fottuto vestito e tu parlavi tranquillo, perché non lo sai e non hai mai saputo che ho il terrore di scegliere qualcosa di troppo costoso, di versarmi la roba addosso, di fare la splendida col cibo tra i denti e soprattutto di mangiare, perché mi sentirei ancora più goffa e inadatta, io sempre in guerra con la bilancia e tu sempre perfetto. Fuori è estate adesso e io non ho imparato a fare la donna, ti aspetto in mezzo a una strada di campagna e mi manca solo il bidone acceso accanto per essere una battona perfetta e tu arrivi e mi prendi per il culo, e io che ho sempre un sacco di minchiate da dire rido come una cornacchia ubriaca e arrossisco e dietro quelle guance rosse c’è la mia promessa di esserci sempre, di aspettarti perché so che tornerai comunque, come quei cani randagi, pieni di cicatrici, che non sono mai di nessuno, vivono a modo loro, che una notte se ne vanno via senza un motivo, senza salutare…e tu un po’ piangi perché ti manca il non vederteli girare attorno, il loro ringhio sordo quando per sbaglio invadi i loro spazi…quel momento in cui ti posano la testa sulle gambe e per un attimo tu diventi “casa” e vivi con quella puntina di magone fin quando da un fondo di strada non li rivedi tornare con altre cicatrici, con quel passo sicuro da padroni del mondo ,quel lampo selvaggio negli occhi e una voglia di “casa” che non sai mai quanto durerà…ma il bello forse sta proprio lì. ( Francesca Amato)

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