Maria del Giudice

La storia della fresella: il cibo estivo perfetto è napoletano Probabilmente esiste al Sud fin dal 1300: venduta in strada dai tarallari, era un cibo povero ma nutriente. La variante partenopea, molto diffusa, è alla base della caponataa “fresella” napoletana (altrove è frisella, o frisa) non è altro che una fetta di pane infornata già cotta, quindi biscottata, che va spugnata successivamente con un po' d'acqua. Nata come cibo povero e da viaggio, è col tempo diventata anche perfetta per le diete e come fresco alimento estivo. Per la bella stagione è l'ideale. Secca e quindi facilmente trasportabile al mare o in gita, praticamente senza grassi e quindi indicata per mantenere la linea, diveta fresca una vola spugnata. E si può condire con tutto ciò che si vuole, da un alimento semplicissimo a qualcosa di più elaborato. A Napoli la fresella è la base della caponata, fatta con pomodoro a pezzetti, aglio, olio, origano e basilico su di una fresella bagnata. Una versione più ricca è fatta con pomodorini freschi a pezzetti, olio extravergine d'oliva, aglio sminuzzato, origano, olive nere, olive bianche, tonno oppure alici salate.Della presenza della fresella/frisella al Sud ci sono testimonianze addirittura già a partire dal 1300. A Napoli venivano vendute in strada dai “tarallari”, ed in effetti del tarallo si può considerare "sorella minore". Essendo cibo popolare, è ben radicata nel dialetto, al punto da venire citata da due grandissimi della poesia partenopea come Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo. Una parola talmente diffusa da assumere – involgarita – altri significati, come le violenze o addirittura l'organo sessuale femminile. Ma qual è l'origine del termine? In realtà non ci sono certezze. Non derive né da "fresa", parola nata molto dopo, né da “fresillo”, napoletano di nastrino. Insomma non si sa, anche se alcune interpretazioni sono affascinanti. Come quella che vuole il termine derivare da “frisoles”, che in spagnolo vuol dire fagioli, correlazione all'acqua dei fagioli con cui un tempo – soprattutto i marinai – erano soliti spugnarla. La tesi più accreditata in realtà un legame con il latino “frendere”, che vuol dire macinare, pestare, stritolare, data appunto la sua natura friabile quando è ancora secca.

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Maria del Giudice

Il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" è uno dei prodotti più antichi e tipici dell'agricoltura campana, tanto da essere perfino rappresentato nella scena del tradizionale presepe napoletano. In realtà, in diversi territori della Campania, esistono raggruppamenti di ecotipi con bacche di piccola pezzatura, i cosiddetti "pomodorini", che si distinguono tra loro per tipicità, rusticità e qualità organolettica. I più famosi da sempre sono però quelli tuttora diffusi sulle pendici del Vesuvio. Il "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" raggruppa vecchie cultivar e biotipi locali accomunati da caratteristiche morfologiche e qualitative più o meno simili, la cui selezione è stata curata nei decenni dagli stessi agricoltori. Le denominazioni di tali ecotipi sono quelle popolari attribuite dagli stessi sono quelle popolari attribuite dagli stessi produttori locali, come "Fiaschella", "Lampadina", "Patanara", "Principe Borghese" e "Re Umberto", tradizionalmente coltivati da secoli nello stesso territorio di origine. Le caratteristiche distintive, a livello tecnico-mercantile, del prodotto ammesso a tutela sono: allo stato fresco: frutti di forma ovale o leggermente pruniforme con apice appuntito e frequente costolatura della parte peduncolare, buccia spessa di colore rosso vermiglio, pezzatura non superiore a 25 g, polpa di consistenza elevata e di colore rosso, sapore vivace intenso e dolce-acidulo; conservato al piennolo: colore della buccia rosso scuro, polpa di buona consistenza di colore rosso, sapore intenso e vivace. I "piennoli" o "schiocche" presentano un peso, a fine conservazione, variabile tra 1 e 5 chilogrammi. Agli effetti dell'azione di tutela si è riscontrato che l'aspetto peculiare di tipicità che accomuna i pomodorini vesuviani è l'antica pratica di conservazione "al piennolo", cioè una caratteristica tecnica per legare fra di loro alcuni grappoli o "scocche" di pomodorini maturi, fino a formare un grande grappolo che viene poi sospeso in locali aerati, assicurando così l'ottimale conservazione del prezioso raccolto fino al termine dell'inverno. Nel corso dei mesi il pomodorino, pur perdendo il suo turgore, assume un sapore unico e delizioso, che soprattutto i napoletani apprezzano particolarmente per preparare sughi prelibati ed invitanti. E' appunto il sistema di conservazione al "piennolo" che, favorendo una lenta maturazione, consente altresì una lunga conservazione, con la conseguente possibilità di consumare il prodotto "al naturale" fino alla primavera seguente. Il Pomodorino del Vesuvio viene apprezzato sul mercato sia allo stato fresco, venduto appena raccolto sui mercati locali, che nella tipica forma conservata in appesa -"al piennolo"-, oppure anche come conserva in vetro, secondo un'antica ricetta familiare dell'area, denominata "a pacchetelle", anch'essa contemplata nel disciplinare di produzione della DOP. Ordinariamente la raccolta viene effettuata recidendo i grappoli interi, quando su di essi sono presenti almeno il 70% di pomodorini rossi, mentre gli altri sono in fase di maturazione. Questa antica pratica consente di procrastinare il consumo delle bacche, integre e non trasformate, per tutto l'inverno successivo alla raccolta, fino a sette-otto mesi, utilizzando locali areati e senza il supporto delle moderne tecnologie di conservazione.Le peculiarità del "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP" sono la elevata consistenza della buccia, la forza di attaccatura al peduncolo, l'alta concentrazione di zuccheri, acidi e altri solidi solubili che lo rendono un prodotto a lunga conservazione durante la quale nessuna delle sue qualità organolettiche subisce alterazioni. Tali peculiarità sono profondamente legate ai fattori pedoclimatici tipici dell'area geografica in cui il pomodorino è coltivato dove i suoli, di origine vulcanica, sono costituiti da materiale piroclastico originato dagli eventi eruttivi del complesso vulcanico Somma-Vesuvio. In quest'ambiente di elezione, la qualità del pomodorino raggiunge punte di eccellenza.

Maria del Giudice

Mamma mia chi sa come saranno buoni

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