Maria del Giudice

Lacryma Christi DOC Il Lacryma Christi è il vino prodotto con le uve auctone del Vesuvio, conosciuto già ai tempi degli antichi Romani. Le prime testimonianze della coltivazione dell'uva sul Vesuvio risalgono, infatti, al V secolo a.C. I vigneti e il terreno I vitigni che si arrampicano sulle falde del Vesuvio discendono direttamente dagli Aminei della Tessaglia, portati qui dai Greci che nel V secolo a.C. arrivarono in queste terre. Le radici affondano nel terreno lavico, scuro e poroso. Questo terreno non necessita di essere innaffiato in quanto trattiene l'umidità per poi rilasciarla. Le uve Caprettone (o coda di volpe) per il Lacryma Christi Bianco. Piedirosso (Per e Palumm) per il Lacryma Christi Rosato e Rosso.Tra storia e leggenda Il nome Lacryma Christi affonda le sue radici in leggende antiche. La più diffusa è quella che vuole che Lucifero, nella sua discesa agli inferi, abbia portato via con sè un pezzo di Paradiso. Gesù, riconoscendo nel Golfo di Napoli il Paradiso rubato, pianse lacrime copiose e dalle sue lacrime nacquero i vigneti del Lacryma Christi. Secondo le testimonianze storiche la tradizione enologica del Vesuvio ha origine secoli prima di Cristo. Secondo Aristotele, infatti, i Tessali, antico popolo della Magna Grecia, impiantarono le prime viti sul Vesuviano nel V secolo a.C. Cinque secoli più avanti Marziale scrisse: "Bacco amò queste colline più delle native colline di Nisa". Dopo l'avvento del Cristianesimo i monaci che qui vivevano nella "torre" continuarono la coltivazione del vino "greco": il vino che grazie all'opera di contadini ha dato il nome alla città di Torre del Greco.

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Maria del Giudice

Ecco la ricetta dei crocchè di patate napoletani: Ingredienti 1 kg di patate a pasta gialla 3 uova 40 gr di parmigiano 40 gr di pecorino 200 gr di mozzarella 2 albumi prezzemolo sale pepe pangrattato olio di semi Procedimento Per una buona riuscita del piatto la scelta delle patate è fondamentale: vanno scelte quelle a pasta gialla perchè più “farinose”, altrimenti i crocchè rischiano di aprirsi durante la cottura. Lavate le patate e cuocetele in una pentola con abbondante acqua per 20/30 minuti dall’inizio dell’ebollizione. Sgocciolate la mozzarella, tagliatela a dadini e mettetela in frigo. Scolate le patate, pelatele e passatele nello schiaccia patate raccogliendo la purea in una ciotola capiente. Aggiungete alla purea le uova, il parmigiano, il pecorino, il sale, il pepe e il prezzemolo tritato. Impastate bene e amalgamate il tutto formando un impasto sodo. Inumidite le mani, prendete una cucchiaiata di impasto e ponetevi al centro qualche dadino di mozarella. Richiudete l’impasto formando dei cilindretti che andrete a disporre su un piatto da portata. Passate i crocchè di patate prima nell’albume e poi nel pangrattato, e riponeteli in frigo per un’oretta. Scaldare l'olio in un 'ampia padella e friggete i crocchè di patate finchè la panatura non sarà bella dorata. Sollevate i crocchè con una schiumarola e adagiateli su un piatto con carta assorbente. Servite i crocchè di patate caldi.

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Crocchè di patate, storia e ricetta del piatto tipico napoletano Secondo alcuni storici, i "panzarotti" deriverebbero dalle "croquettes di patate", un piatto nobile della Francia angioina dell’XVIII secolo. I napoletani lo avrebbero, poi, trasformato in un cibo da gustare in strada e venduto nel "cuoppo fritto”ano durante gli aperitivi accompagnati da un buon bicchiere di vino e da altri sfizi. Un tempo, venivano venduti nei vicoli del centro storico di Napoli dai “panzerottari”, i quali buttavano al momento l’impasto già pronto nel pentolone d’olio caldo per servirli bollenti e dorati. Stiamo parlando dei famosi crocchè di patate, una pietanza tipica della tradizione culinaria partenopea. A Napoli sono chiamanti anche "panzarotti", forse per via della loro forma panciuta: ricordano, infatti, una "panza" morbida e tonda. Le origini di questa polpetta fritta realizzata con patate e uovo dividono gli storici ancora oggi. C’è chi sostiene che i crocchè abbiano un'origine francese, come può far intuire il nome: deriverebbero dalle 'croquettes' di patate della Francia angioina dell’XVIII secolo, un piatto molto apprezzato dal re e dalla sua corte. Le prime ricette scritte risalirebbero, infatti, a un trattato del 1798, “Il Trattato delle patate ad uso di cibo” di Antoine Augusten Parmentier, nutrizionista alla corte del re Luigi XVI, in cui si valorizza l’uso del tubero, allora considerato un cibo estremamente povero. A confermare questa tesi ci sarebbero altre ricette d’oltralpe lasciate in eredità dagli Angoini alla cucina napoletana: tra queste ricordiamo il gateau di patate francese, da cui deriva il partenopeo gattò di patate. Secondo altre fonti, invece, il crocchè sarebbe stato portato a Napoli dai conquistatori spagnoli, e avrebbe come antenato la "croquetas de jambon". La ricetta spagnola sarebbe stata, poi, negli anni rivisitata dalle famiglie più umili napoletane che avrebbero sostituito alcuni ingredienti presenti nella ricetta originaria (il latte, il prosciutto e le uova) con le patate, il sale, il pepe e il prezzemolo. Tutti gli altri ingredienti quali uova, parmigiano per amalgamare, pan grattato per impanare e fior di latte per farcire, sarebbero stati aggiunti solo successivamente. Che sia vera la prima o la seconda tesi non c’è dato sapere. Ma una cosa è certa: i napoletani hanno trasformato questo cibo di nobili origini in uno stuzzichino sfizioso da mangiare passeggiando per strada, insieme ad altri fritti, all'interno del famoso "cuoppo fritto”, emblema dello street food partenopeo. Il "panzerottaro" attirava l’attenzione dei passanti gridando “Fa marenna, fa marenna! Te ne magne ciento dint’ ‘a nu sciuscio ‘e viento” (“Fai merenda, fai merenda! Te ne mangi cento in un soffio di vento”). I panzarotti venivano venduti a tutte le ore del giorno sia singolarmente che nel "cuoppo di carta” insieme ad altre bontà fritte napoletane, come le zeppoline di pasta cresciuta, gli scagliozzi, le palle di riso e le frittatine di pasta. E andavano gustati rigorosamente in piedi. Tutt’oggi è possibile gustarli nelle friggitorie che affollano il centro storico della città.

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