Lorenzo Manfredini

'Passi indietro per risalire' di Lorenzo Manfredini

2018-12-06 07:44:03

Ogni crisi, nel profondo, cela una configurazione che per quanto casuale è risolutiva sia nella caduta che nella ri-salita.Nell'abisso della crisi c’è qualcosa che può giocare a favore, l’inconscio è neutrale, e c’è qualcosa che può giocare contro, l’io si dissolve. Le emozioni si confondono, specialmente quelle delle anime sensibili.Per non farsi troppo male, occorre trovare la porta della crisi, mantenere al massimo la calma, permettere ai nostri programmi interiori di manifestarsi e ai nostri occhi di adattarsi. Le colonne portanti sono la caduta e la risalita di un’anima errante.Bastano poche cose: accompagnare l’Io terrorizzato dalla crisi, saper cadere nel buio dell’abisso e assestare un bel calcio agli eventi minacciosi. Cioè, agire senza perdersi d’animo e collaborare con gli alleati interiori. Gli alleati sono nuove idee sui fatti, nuove intuizioni sugli avvenimenti, imitazioni di azioni sagge e lungimiranti.Il metodo migliore?Agire come se fossimo saggi, attori di un’imitazione alternativa e riproduttori di immagini di noi stessi pronti al cambiamento. Fischiare in poesia e vibrare alla ricerca di una sublimazione del dolore.Ma come si fa quando ci sono in atto conflitti, scelte difficili o dubbi?La risposta è nella percezione che abbiamo di noi stessi. In quell'ascolto che se anche ci vede immobili come le pietre, ci lascia un margine per compiere un passo in avanti e un movimento di danza. Possiamo farlo perché non siamo in prigione, la prigione è mentale.La prigione, o meglio la limitazione, è la catena al piede dell’elefante (la nostra forza), è il collare al collo della tigre (le nostre emozioni), è l’acqua che arriva alla gola (i nostri desideri), è il sole che brucia le ali (le nostre idee), e può essere trasformata in opportunità.E’ vero, gli episodi avversi ci rovesciano, ma se non ci uccidono, ci migliorano. Di questo dobbiamo esserne certi, si possono trasformare gli eventi sfavorevoli in opportunità. Ce lo raccontano le storie in ogni salsa e le esperienze di ogni dove.Così è vero anche il contrario, teniamo un piede sulla barca e una sul molo, e così non sperimentiamo il coraggio, non compiamo il passo dell’amore, sperimentiamo la paura di vivere e quando siamo pronti il momento è già passato. Ci inventiamo un mondo immaginario, collochiamo la felicità nel futuro e sogniamo di raggiungerla. Succede anche questo.Ma quando sviluppiamo lo sguardo di un io personale che osserva con ammirazione anche una pietra, allora contattiamo quell’io essenziale che sa vedere nelle circostanze, oltre le cose, il miracolo dell’esperienza. Sa apprezzare le forze in gioco che ci guidano e continuano a manifestarsi.Stiamo attenti ai falsi maestri di luce, a quelli che ci portano con troppa razionalità a dimenticare, a quelli che ci conducono altrove o a quelli che hanno visto qualcosa ma che non sanno dire che cosa.Quello che dobbiamo fare con umiltà è muovere le cose, fare esperienza di sensazioni e compiere atti naturali. Aprirci un varco oltre la foresta, superare i pregiudizi ed esplorare il nostro essere oltre quel buio.Facendo esperienze di vita scopriremo che le aggressioni e il dolore che proviamo, sono mutilazioni di un amore inespresso a cui dobbiamo rispondere con azioni, cambiamenti, maturità.Il vero motore delle nostre realizzazioni diventa allora la sintesi di un dolore che consuma e di un piacere che fa crescere. Il dolore non va giudicato, va incanalato senza sposarlo e il piacere va lasciato andare quando scade.Ci salviamo se ci apriamo, se riconosciamo un pensiero collettivo e se accettiamo l’idea di agire con gli altri.La nostra forza si moltiplica se non ci sentiamo più soli e nell'istante in cui accadono le cose condividiamo lo stesso spazio, lo stesso tempo e la stessa coscienza.Pertanto, rallegriamoci per il tempo trascorso con chi ci ha lasciati, ma non soffriamo inutilmente per il tempo in cui saremo soli. Custodiamo nel cuore i morti che abbiamo amato, ma non rinchiudiamoci nella bara insieme a loro.

Lorenzo Manfredini

'La ricchezza dei legami' di Lorenzo Manfredini

2018-12-05 08:58:38

La nostra ricchezza sono i legami. I sensi estendono il nostro Io nell’ambiente, la memoria registra quell’incontro, l’immaginazione conferisce sacralità ad ogni scoperta e relazione, l’azione del dare diventa un prendere e portare a sé, e quello che non si dà si spegne dentro.Noi creiamo legami e questi diventano la nostra realtà, la nostra estensione, la nostra verità. In ogni legame investiamo energia, la trasformiamo in simboli e abbiamo l’opportunità di vedere la realtà sotto diversi punti di vista.Siamo in grado di trasformare le nostre debolezze, limiti e difetti in opportunità. Nei legami che creiamo con le cose, con gli animali, con le altre persone, con la spiritualità, creiamo fari di luce che ci vedono immortali, illimitati, onnipotenti, onnipresenti, perfetti.In ogni ruolo, dal genitore al medico, dal comandante al semplice essere umano, giorno dopo giorno, sperimentiamo il bisogno di crearci un’anima (come dice il filosofo di origine russa Gurdjieff) da coltivare e far crescere.Cresciamo negli amori imperfetti, negli affetti senza carezze, nell’amicizia senza affetto, nell’attaccamento senza presenza e desideriamo tutto il contrario: saldare le nostre certezze e ancorarle per sempre all’amore.Così, quando sperimentiamo l’abbandono, un lutto o un cambiamento, non siamo pronti. Non siamo pronti per il dolore, per nuovi significati, per nuove trasformazioni.Quando siamo colti alla sprovvista da qualcosa che ribolle dentro di noi e che ci chiede di affrontare la realtà e risolvere i nostri problemi, abbiamo bisogno di carezze. Di qualcuno che senza secondi fini, senza nessuna dimostrazione di potere, con rispetto e attenzione gentile, comunichi con il nostro io essenziale, al di là della sofferenza, e ci trasmetta il desiderio di continuare a vivere.Detestare la vita perché i nostri legami si sono frantumati o amare l’esistenza per quella che è, è una questione di scelta. La scelta di penetrare nei labirinti della memoria e distruggere quel giudice interiore che impedisce di riconoscere le pulsioni della morte e le devianze della personalità, fino ad avere il coraggio di dire: ‘questa è la vita, questa è la morte, questo sono io’.Essere in grado di affrontare le ‘molestie della vita’ non è da tutti. Richiede una pazienza infinita e un amore profondo per i processi di riparazione. Richiede di attivare modi artistici di essere e di vivere che prima agiscono nei sogni e poi diventano realtà. Ogni lutto, malattia, abbandono, ci ripiega su noi stessi, ma ci invita anche a riconoscere la realtà, a migliorare il rapporto con noi stessi e a riformulare necessità, desideri, sentimenti e idee.Una rivoluzione che ci fa dire ‘riparto da qui!, dall’esperienza, da una sensazione, da un sentimento, da un atto naturale di sepoltura da cui può nascere un fiore e una visione diversa della morte e della vita’.

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Lorenzo Manfredini

Costellazioni: la malattia è un dono?

2018-12-03 08:07:52

Credo sia evidente a tutti che esiste una coscienza famigliare e collettiva.Ma, è una buona idea rimettere ordine alle ingiustizie avvenute nelle generazioni precedenti?Secondo Hellingher (Psicologo e Psicoterapeuta delle costellazioni famigliari) certamente ‘sì’, altrimenti si potrebbe rimanere segregati in tre tipi di possibili irretimenti.1. Qualcuno è morto prematuramente? ‘Ti seguo nella morte, nella malattia o nel destino’;2. Qualcuno ha sofferto? ‘Preferisco morire io al posto tuo’, o ‘preferisco andare io in vece tua’,3. Qualcuno ha commesso gravi errori? ‘Voglio espiare la tua (o mia) colpa.Chissà se da bambini, o da adulti, abbiamo avvertito che nella nostra famiglia qualcosa non ha funzionato, se si sono percepiti dei torti o si è avvertito una irresistibile esigenza di compensare tali soprusi senza riuscirci?Se sì, quale tipo di situazioni stiamo rappresentando o soffrendo in vita affinché possiamo ritrovare un ordine? Un ordine interiore evidentemente, pena una ‘coercizione ripetitiva sistemica’.Qual è il problema, secondo Hellinger, per chi vive da vicino tutto ciò?Che ripetere gli errori non rimette a posto le cose. Inoltre, sobbarcarsi il destino degli esclusi, di quelli che inconsapevolmente si accollano la coscienza della stirpe, significa mettersi sul capo una bella corona di spine.I veri colpevoli, quelli che hanno creato i problemi, non necessariamente se la cavano male. Hanno agito, nel bene o nel male e hanno pagato in vita le loro azioni. Chi si accolla le conseguenze nelle generazioni successive, invece, è il sistema e in particolare qualcuno del sistema, anche se innocente.La coscienza del gruppo, pertanto, è tremenda perché non ha un senso di giustizia per i discendenti, ma solo per i predecessori. I predecessori se la cavano, ma lasciano in eredità qualcosa di cui qualcun’altro se ne dovrà occupare.E’ questo uno dei motivi che può spiegare la sensibilità alle sofferenze che subiamo in vita e che ci esorta a riconoscere dinamiche collettive più profonde?Il senso della vita rischia di perdersi se le cose spiacevoli si ripetono senza farci nulla, o quando perdiamo il diritto di appartenenza a un sistema o subiamo un’ingiustizia. In quei casi, la mancata risoluzione, si trasforma in irretimento. Beffa e danno, dunque: non si è responsabili, perché i responsabili sono altri, non si è consapevoli di un danno, perché non si è colpevoli e si vive una responsabilità sistemica, senza esserne al corrente.In qualche modo siamo responsabili di ciò che è accaduto nel nostro sistema. Il sistema è il luogo senza tempo e senza spazio dove viviamo problemi che richiedono di essere risolti.E’ possibile tutto ciò? E come si fa?Nell'ordine delle cose si recuperano i fatti, la tolleranza emotiva, l’accettazione e il senso della vita, e si crea una nuova costellazione. Qualcosa che ha un senso profondo per noi. E la si esplora per far emergere chiarezza, risolvere le paure e vedere la realtà.E’ una catarsi. Viene di dire che la ‘malattia’ diventa dono, almeno in questa prospettiva.Quando si esce da una malata identificazione, si accettano le cose così come sono, in accordo con la malattia, la morte e il destino proprio e degli altri. Si smette di espiare per qualcuno o per qualcosa. Si accetta che i propri sforzi a volte non servono e che la nostra sofferenza non può salvare nessuno, soprattutto quelli che non ci sono più.

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